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 Inaugurazione del Monumento ai Caduti

 di Brattirò. (29 Giugno 2003)

Il 29 Giugno 2003, giorno di festeggiamenti di San Pietro, Patrono del paese alle ore 18, c'è stata l'inaugurazione del nuovo - Monumento ai Caduti - che si e svolta con grande partecipazione in una solenne cerimonia, dove erano presenti autorità civili, militari e religiose.   Di seguito le immagini della cerimonia.

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L'intensa partecipazione di Peppina

IL Sindaco, il Vescovo e il Presidente della Provincia

Pasquale Rombolà  (Mariziu)

Il Muratore del vecchio Monumento

Il Momenti della Benedizione:

Il Vescovo e Don Giuseppe

Lo Stendardo del comune di Drapia

Il Monumento

La Commemorazione dei Bambini della scuola primaria.

Ins. Domenica Pontoriero

Per tutte le vittime, per tutti gli eroi della guerra, in ogni piccolo paese, come in ogni città, c’è un monumento o una lapide.

Oggi siamo qui riuniti per inaugurare il nuovo monumento che ricordi per sempre i figli di Brattirò caduti per la patria.

La guerra per il mondo contadino era come la tempesta che lo sconvolgeva nel profondo. Gli uomini partivano e sulle donne e sui vecchi gravava il peso della famiglia e dei campi.

Ma bisognava partire: nel 1915 perché l’Italia doveva essere unita dalle Alpi fino alla Sicilia; nel 1940 perché così voleva il governo, ma gli italiani, desiderosi di libertà, fecero nascere da quella guerra la democrazia.

I nostri soldati si batteremo sul Carso, nelle trincee di prima linea, sul fronte greco, russo e dell’Africa orientale dove vissero momenti terribili.

Tanti riuscirono a riabbracciare la propria famiglia, ma molti morirono e sui monti pietrosi, in grembo a terre straniere o “nell’azzurra immensità del mare” riposano in pace.

Per loro, oggi, il nostro ricordo e la nostra riconoscenza sono vivi e profondi, e grande la commozione nel cuore di tutti.

La Preghiera dei Bambini.

Nel ricordare il sacrificio di questi giovani, morti per un avvenire migliore, noi bambini preghiamo il Signore che si inizi un capitolo nuovo per il genere umano.

La storia dell’uomo non sia segnata dal sangue e dalla guerra, ma i problemi si risolvano con il colloquio e il ragionamento.

E venga l’era della pace, una pace duratura che porti giustizia, affratelli e renda felici tutti gli uomini.

Perché si realizzi questo sogno di pace molti eroi del nostro tempo lottano e muoiono animati da una profonda fede nei valori della giustizia, della solidarietà, della serena e fiduciosa collaborazione tra gli uomini.

Dall'’Intervista a Ernesto Rombolà

Il Signor Ernesto è partito per la guerra insieme a molti altri giovani del paese. Ha combattuto in Italia ed in Albania; apparteneva al 26° corpo d’armata composto da circa 500.000 uomini. Ha combattuto per tre anni  ed ha visto sangue, morte, sofferenza e tristezza. Si era sempre in pericolo e nei momenti più brutti  egli si rivolgeva ai Santi Cosma e Damiano perché lo salvassero.

Poi è stato fatto prigioniero ed ha passato 2 anni in Germania. Si era lontani dalle proprie  case e non si sapeva cosa poteva succedere. Si mangiava 100 grammi di pane al giorno , 20 grammi di margarina, 1 litro di acqua con verdure. Si lavorava in campagna e faceva molto freddo.

E’ stato un periodo della sua vita molto brutto.

Dall'’Intervista a Francesco Pontoriero.

Il nonno di Francesco ricorda molto bene la guerra. “Anche se ero molto giovane ho vissuto tutta la tristezza della guerra: fame bombardamenti e paura. Passavano in continuazione aerei e subito dopo si sentiva bombardare; spesso di notte bisognava scappare dalle proprie case e ripararsi nelle grotte o nelle buche scavate sul terreno. La sera ad una certa ora bisognava spegnere i lumi, in modo che ci fosse buio e gli aerei non vedessero le case.

Mio fratello era in guerra, è tornato ammalato, molti giovani del paese sono partiti per la guerra e non hanno fatto ritorno, Avevano solo 20 anni.

Mentre racconta il Signor Francesco si emoziona e noi capiamo che la guerra è una cosa bruttissima e lascia un segno profondo in chi l’ha vissuta.

La zia Dora ricorda molto bene l’episodio che mi ha raccontato, perché lo ha vissuto lei stessa.

Mentre parla è molto emozionata.

Mio zio Ferdinando Rombolà durante la seconda guerra mondiale è stato fatto prigioniero dai tedeschi, in Germania.

Nella prigionia ha sofferto molto la fame e ha avuto la malaria perché i tedeschi non davano da mangiare ai prigionieri, essi si nutrivano, di bucce di patate.

Finita la guerra cinque dei prigionieri, tra cui mio zio sono scappati, arrivando fin qui a piedi. Era inverno e c’era la neve, ma mio zio e i suoi amici proseguirono con molta difficoltà perché dovevano trasportare sulle spalle il peso di due amici che avevano i piedi congelati.

Qui in paese, siccome la guerra era finita da molto tempo, la famiglia lo piangeva per morto, tanto che il mio bisnonno Girolamo Rombolà aveva fatto un voto a Gesù che se il figlio fosse tornato sano e salvo avrebbe fatto festa uccidendo un vitello e aprendo una botte di vino.

Giorno di Natale, durante la messa, il bisnonno passava tra i banchi della chiesa con le immaginette di Gesù Bambino, ed in esse vedeva il figlio. E proprio in quel momento mio zio arrivava  in paese.

Appena arrivato, lo zio andò da una sua zia di nome Francesca per lavarsi, tagliarsi la barba, mettersi in ordine e dopo comparire davanti ai familiari e alla fidanzata Dora Rombolà, mia zia.

Chiese a questa sua zia di non parlare ancora, ma la zia si è messa a gridare: “Arrivò Nandinu!, Arrivò Nandinu!”.

Così tutta la gente del paese è andata a salutarlo e a fare festa tutti insieme.

Matteo

Un episodio di solidarietà e coraggio accaduto nel nostro Paese

Gli anziani del nostro paese, ricordano con commozione questo episodio.

Nel punto più alto della collina della Masseria in una località chiamata “ 'u Populu”, durante la seconda guerra mondiale, si trovava una stazione ricevente tedesca. Da lì si gode un bellissimo panorama e si domina la vista del mare. I tedeschi avevano instaurato un bel rapporto con i brattiroesi, con i quali barattavano le loro cosette in cambio dei prodotti della terra.

Una donna che viveva da sola ed aveva i suoi campi vicino al loro accampamento mostrava per questi giovani molta simpatia. Si chiamava  Anna Rombolà ma per tutti era " 'a za Anna 'a galantoma".

In particolare si era affezionata ad un soldato che frequentava la sua casa. La guerra stava per volger al termine poi con lo sbarco degli alleati arrivarono anche nel nostro paese. I tedeschi si videro in pericolo e si diedero alla fuga, alcuni furono presi prigionieri, altri furono uccisi. Il giovane soldato tedesco fu nascosto dalla vecchina, per essere protetto.

Alla fine della guerra salutò tutti e tornò in Germania ma ormai nella sua terra era stato dato per disperso, la moglie si era risposata, i figli che aveva lasciato piccoli non lo riconoscevano più. Allora tornò a  Brattirò si stabilì a Tropea dove iniziò una attività e si sposò, ma non dimenticò mai il bene ricevuto da "za Anna" che amò, come se fosse la sua mamma e la curò fino alla morte.

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