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 I Mulini della Fiumara Ruffa

A cura degli alunni della

Scuola Primaria di Brattirò

Insegnante Mimma Pontoriero

Progetto ambiente:

I Mulini ad acqua

Foto a cura di Stefania Rombolà

I mulini nella storia

Nel mulino i semi di frumento, granturco, orzo, avena, segale, riso vengono trasformati in farina.

Nel corso dei secoli i mulini si sono evoluti e perfezionati fino ad arrivare a quelli moderni dei nostri giorni.

Presso i popoli primitivi i cereali si frantumavano in modo rudimentale. Poi fu costruita la mola, costituita da due grossi massi di granito l’uno fisso e l’altro mobile che ruotavano sovrapposti.

I cereali venivano messi sopra il masso fisso, mentre l’altro, mosso dalla mano degli schiavi, girando li frantumava; successivamente gli animali sostituirono gli schiavi.

Col passare del tempo fu scoperta la forza dell’acqua, che poteva far girare la mola e non costava niente. L’acqua prese il posto dell’uomo e degli animali e venne incanalata ”nell’Acquaru”.

Il nuovo tipo di mulino si chiamò mulino ad acqua; dovunque scorreva un torrente un po’ rapido se ne poteva impiantare uno. Nell’undicesimo secolo sorsero moltissimi mulini ad acqua e piano piano la loro applicazione si estese in tutta l’Europa.

Costruire un mulino costava molto e solo i feudatari potevano permetterselo. I mulini erano di loro proprietà ed essi obbligavano i contadini a pagare il macinato.

Con il passare del tempo i contadini cominciarono a comprare piccoli appezzamenti di terreno ed allo stesso modo i mulini vennero acquistati dai mugnai.

I mulini sorgevano in punti strategici vicino a diversi paesi ed erano molto frequentati perché una volta l’alimentazione dell’uomo e degli animali si basava su quello che la terra produceva.

Essi diventarono così punto di’incontro tra gli abitanti dei paesi vicini ed avevano anche funzione sociale.

I mulini lungo la fiumara della Ruffa o di Brattirò:

Brattirò, il nostro paese, sorge vicino alla fiumara di Capo Vaticano, detta anche della “Ruffa o di Brattirò”.

Essa fra tutte le fiumare del territorio ha il maggior volume di acqua, arricchita com’è dalla confluenza di due ruscelli; garantiva quindi le condizioni per il buon funzionamento dei mulini.

Lungo il corso del torrente ancora oggi si trovano i resti di 8 mulini ad acqua. Si pensa siano sorti al tempo dei Romani.

Durante il medioevo presero la forma definitiva, che hanno conservato fino alla loro chiusura.

Tre hanno continuato a macinare fino al 1959 gestiti dai mugnai e dalle loro famiglie; uno è ancora in funzione.

" 'u Mulinu du Madonnaru "

Il mulino di Rizzo Domenico, detto “u madonnaru”, è ancora in funzione ed è posto nel tratto della fiumara più vicino al mare.   (prima foto in alto)

“ 'a Prisa ”

A 1 Km di distanza dal mulino gli antichi mugnai hanno deviato l’acqua della fiumara e l’hanno indirizzato “nell’acquaru”.

" L’Acquaru "

L’acquaru” convoglia parte dell'acqua della fiumara verso il mulino.

" 'a Chjusa "

Le “chjuse” trattengono l’acqua dell’ “acquaru”, in modo che al mulino ne giunga la quantità giusta per il funzionamento.

 

Per regolarla ci vuole molta abilità che i mugnai hanno acquisito con l’esperienza.

" ’a Condotta "

L’acqua dell’acquaro alimentava il mulino dei fratelli Speranza, il più grande di tutti, che aveva due saitte.

 

Poi attraverso la condotta passava alla sponda opposta della fiumara dove era situato il mulino dei Rizzo.

" l’Acquaru "

L’acquaru” convoglia parte dell'acqua della fiumara verso il mulino.

" 'a Saitta "

L’acqua dell’ “acquaru” defluisce nella “saitta”, un vano inclinato alto 10 metri.  (visibile nella 1° foto in alto)

Essa poggia su un grosso masso di granito a forma di imbuto, che termina con un foro.

" 'a Rota motrici "

Dal foro della “saitta” fuoriesce “u schicciu” d’acqua, che batte su una ruota di legno posta in una cavità sotto il mulino.

La forza dell’acqua fa girare la ruota, che a sua volta fa muovere i massi di granito della macina.

Compiuta la sua funzione, l’acqua defluisce nel canale, che la riporta alla fiumara.

Interno del mulino

" 'a Trimoja "

e

" 'a Casciola "

Il grano viene messo a sacchi interi nella “trimoja” che termina con la “casciola”; lentamente dalla “casciola” scende nella macina.

Mola

o

" Petra francisi "

La macina è formata da due dischi di granito sovrapposti.

Dalla“casciola”, attraverso un foro posto al centro della mola, il grano scende tra i due dischi, che ruotando uno sopra l’altro, lo macinano trasformandolo in farina.

Intervista ad Annunziata Rombolà

La nonna di Andrea, Annunziata Rombolà, ci ha raccontato:

A Brattirò c’erano due mulini: uno apparteneva a mio padre (Pascali da funtana) ed a un suo amico Francesco Rombolà (U Saracinu);  un altro, con due “saitte”, era di proprietà dei due fratelli Speranza (Masciu Pascali e Micheli i facci i Rosa) e della loro cugina Rosa Speranza (Rosa i Conu).

Il nostro mulino si trovava in un punto dove s’incontravano le mulattiere che portavano a Caria, Brattirò e Spilinga. Al mulino lavorava mio padre e mia madre ed a volte anche noi bambini aiutavamo i grandi. Si lavorava dall’alba al tramonto; era un lavoro molto faticoso e si era sempre sporchi di farina.

Il grano andavano a prenderlo, dai contadini, i miei genitori con gli asini; a volte lo portavano i contadini con i loro animali oppure a spalla. Le donne mettevano sulla testa i candidi sacchi di canapa legati a mucchietto, poi sotto gli alberi sullo spiazzo davanti al mulino, pazientemente aspettavano il loro turno per macinare il frumento ed intanto chiacchieravano piacevolmente. Si parlava del più e del meno, gli abitanti dei paesi vicini che qui si ritrovavano si salutavano, chiedevano degli amici e si scambiavano le notizie che succedevano nel territorio. Quando la farina era pronta si pagava in natura, dando al mugnaio la decima parte del macinato, “a decima”.

In genere si portava al mulino un quintale di grano ogni 15/20 giorni in base al consumo familiare.

La farina era molto usata perché si produceva in casa non solo il pane, ma anche la pasta ed era di colore scuro a causa della forte presenza di crusca. La separazione della crusca dalla farina è possibile solo con i mulini moderni.

A quei tempi la farina veniva setacciata a mano, “cernuta”, la crusca diventava un pastone per i maiali, mentre con la farina le donne ogni settimana facevano il pane nei forni a legna che c’erano in tutte le campagne.

In estate era molto bello, le donne del paese venivano alla fiumara a lavare ed imbiancare il corredo tessuto a mano durante l’inverno, “curari a tila”.

Nel 1959 a causa di una piena della fiumara i mulini sono stati gravemente danneggiati.

I mugnai hanno fatto una cooperativa ed insieme hanno comprato un mulino moderno a cilindro, che era situato al centro del paese in Via V. Emanuele.

I vecchi mulini rimasero abbandonati, le spine e l’edera li hanno ricoperti e di essi oggi rimane solo qualche rudere cadente.

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