calabria.gif (532 byte)

logo.JPG (15023 byte)

 Il Folklore del Poro

Caria                                   >>====>   Caria

Usi, costumi, credenze e superstizioni di un paese alle pendici del Poro.

Il Santo Natale

A Natale nelle famiglie si fanno i Curuj, i Mastazzola, i Zippuli, si gioca alle noccioline, si fa la scina (strenna ai bambini).

Curuj: farina di grano impastata a filoni, incrociata con arte, fatta fermentare, si frigge in abbondante olio di oliva;

Mastazzola: dolce casereccio, fatto con farina e miele;

Zippuli: dolce fatto con farina, fritto e inondato di zucchero;

Scambio di doni tra parenti e amici

L'Epifania

Nella notte la Befana (la mamma) mette sotto le coltri, ai bambini buoni: dolci, denaro, e altri doni,

ai cattivi: in uno straccio, pezzi di carbone, cenere e cose simili.

 Feste dei Santi - Madonna del Carmelo (16 luglio), dopo la solenne celebrazione della Santa Messa e dopo aver partecipato alla Processione le famiglie si riunivano per il pranzo, (anticamente la processione della Madonna del Carmelo come tutte le processioni si svolgeva a mezzogiorno in punto, solo intorno il 1970 fu spostata la sera come si svolge tuttora). A pranzo si gustavano numerose pietanze non poteva mancare la pasta fatta in casa, i dolci tradizionali preparati a devozione della Madonna e frutta secca.

Gli altarini della chiese in serata venivano illuminate e si combinava con 50 - 100 candele legate da una funicella, un arco artistico che acceso , illuminava a giorno il tempio, vie, piazza e palco della musica che si voleva solenne e sontuoso lo stesso avveniva durante la festa della Madonna del Rosario.

La Madonna del Rosario (in ottobre ) a pranzo ci dovevano essere i maccarruna cu sotizzi (pasta fatta in casa e salsiccia di maiale) il suonatore di tamburo passava di famiglia in famiglia e davanti alla porta suonava quattro rulli di tamburo, quindi gridava: massaru mille di questi giorni e ricevuta la mancia proseguiva nella famiglia successiva girando per tutto il paese i ragazzi, vestiti a festa danzavano e gli indicavano la via e i nomi, facendogli compagnia .

S. Nicola: nel giorno della festa di San Nicola, nelle famiglie si coceva il granturco e condito con olio si mangiava a devozione del santo e se ne faceva parte ai poverelli. Ogni sera, dopo la funzione religiosa, sul sagrato della chiesa era pronto il “lodatore”, il quale saliva su di un rialzo e a voce alta scandiva delle preghiere in dialetto calabrese.

Le Serate d’inverno

Quando ancora non c’erano ne radio ne televisione, la famiglia si radunava attorno al focolare oppure al braciere e alla luce di lampade ad olio o a petrolio, poste sopra un tavolo, oppure sospese al soffitto, in modo da far luce a tutti i presenti, gli uomini intrecciavano corde di sparto e le donne filavano.

Lavorando si riportavano i fatti del giorno, i quali suscitavano ora l’ilarità, ora compassione o sdegno. La nonnina ai piccoli narrava i fatti di “Jufa”, dei briganti e le storie dei santi, non mancava l'intreccio con la leggenda, una leggenda che veniva spesso raccontata riguardava la madonna. la poveretta rifacendo la strada di Gerusalemme dopo la crocifissione del figlio ,si trovò a passare per un campo di ceci, che le ostacolavano il passaggio.

Ella addolorata com’era, disse loro: che possiate avere la mia amarezza a ciò attribuiva la nonnetta la salsedine della pianta di ceci e ancora:la madonna in quella fuga attraversò pure un campo di lupini, i cui rami alti le batticchiavano il volto; a questi ripeté la stessa cosa ed anche i lupini (frutto)divennero amari. la recita del santo rosario con la giaculatoria conclusiva, Dio di manda a santa notti, paci e vivi e requie a li morti, dava fine alla serata.

La Mietitura e Trebbiatura

Il 3 maggio invenzione della Santa Croce i contadini portavano (e ancora oggi portano) nei loro campi una Croce fatta di canne e ornata da rametti di ulivo benedetti in chiesa la domenica delle palme; al termine della mietitura questa croce veniva portata sull’aia e inalberata sulla sommità delle biche.

La Trebbiatura si faceva a calpestio, la paglia e la pula veniva divisa dal grano al soffio del vento. sul cumulo di grano veniva collocata la stessa croce di canne.

I questuanti si avvicinavano all’aia salutando: Dio u vu crisci: dio ve l’aumenti, in modo da realizzare molti cumuli, i padroni rispondevano invariabilmente: bona venuta – benvenuto; allora la massaia riempiva la gerla di grano e la versava nella bisaccia del questuante, il quale rispondeva Dio u vi rendi u meritu - Dio vi da la ricompensa. al termine della mietitura, davanti all’ultimo tratto di cereali i mietitori sostavano e si jettavanu i sarmi: il padrone posava la falce, si toglieva dal capo la paglietta dalle larghe falde, con tutta solennità piegava le ginocchia sulla stoppia e recitava le litanie alla Madonna del Carmelo, a cui rispondevano tutti i presenti, quindi si alzava, impugnava nuovamente la falce e ultimava il lavoro facendo cadere a terra le spighe, che erano destinate ai poverelli, che accorrevano giubilanti e benedicevano la provvidenza ed il massaro generoso.

I Riti della Settimana Santa

Con l’inizio della quaresima il mercoledì delle ceneri ogni massaia cariese preparava in una scodellina semi di lenticchie, ceci e chicchi di grano che coperti da cotone o sabbia e bagnati per tutta la durata della quaresima venivano fatti germogliare in stanze buie . germogliando al buio i semi assumevano  un tipico colore giallastro . il giovedì santo ogni famiglia portava i semi germogliati in chiesa che servivano per l?addobbo del sepolcro preparato solennemente nella cappella laterale della chiesa parrocchiale. con la terza domenica di quaresima la chiesa si parava a lutto .venivano coperti tutti gli altari e le statue dei i santi con enormi drappi viola. Tutte le finestre e i finestroni della chiesa erano parate a lutto. L'altare maggiore si spogliava da ogni fiore o pianta e veniva coperto interamente da un enorme tenda viola e così rimaneva fino alla notte di Pasqua.

Il giovedì santo nella cappella laterale della chiesa era preparato con solennità il sepolcro e per l'intera notte veniva vegliato da donne uomini e bambini che cantavano e pregavano per tutta la notte  (ancora oggi a caria si veglia il sepolcro per tutta la notte). Dopo la messa del giovedì santo si legavo le campane con nastri viola e non si suonavano fino alla veglia pasquale. all'alba tutte le persone presenti in chiesa con una silenziosa processione si recavano al calvario per recitare il santo rosario.

Gli anziani raccontano che durante una processione dell'alba il sepolcro lasciato incustodito illuminato a festa da moltissime candele prese fuoco, la processione rientrò in chiesa in tempo per salvare le ostie consacrate custodite nel sepolcro. inseguito a quell’incidente che recò gravi danni alla cappella della chiesa, il sepolcro venne preparato negli anni successivi all’altare maggiore.

Solo da una decina d’anni il sepolcro viene preparato nella sede originaria) il venerdì santo nella chiesa della congrega (annessa alla chiesa parrocchiale si esponevano le immagini della madonna addolorata e del cristo morto, nel pomeriggio si svolgeva la funzione suggestiva ed emozionante della chiamata della madonna . dal pulpito il sacerdote dopo la predica chiamava la madonna a prendere fra le braccia il cristo morto. Dalla porta principale veniva portatala dai fratelli della congrega in divisa la statua della madonna addolorata e sull'altare il sacerdote poneva fra le sue braccia il cristo morto, le donne piangevano e intonavano canti dialettali che raccontavano i dolori di maria e la passione del cristo. Dopo la chiamata tutte le donne inginocchio strisciavano a terra dalla porta centrale fino all’altare per baciare i simulacri della vergine e del cristo (purtroppo questo rito e? stato abbandonato nel corso degli anni).

All’alba del sabato santo i fedeli si ritrovavano in chiesa ed iniziava la processione del sabato santo. Con una silenziosa processione venivano portate al calvario le statue dell’addolorata e del cristo morto accompagnati dal suono sordo e cupo delle “troccole” poi si ritornava in chiesa .la processione del sabato santo si svolge ancora oggi non più all’alba ma intorno alle 8:00 del mattino) durante la notte di sabato al canto del gloria si slegavano le campane si facevano cadere i drappi viola che coprivano le finestre e gli altari dei santi.

L’altare maggiore si liberava dall’enorme drappo viola che lo ricopriva e in cima veniva posta la statua del Cristo risorto circondata da numerosi fiori colorati che venivano raccolti nei campi.

A Pasqua, a tavola non potevano mancare: tagliarini, campanara e 'mpignolata. Tagliarini: pasta di casa impastata con uova e tagliata a fettuccine piccolissime;

Campanara: pane con uova sovrapposti rotondi e cotti al forno

'mpignolata: pasta fatta di farina e uovo, ben affilata e tagliata a dadini piccolissimi, poi fritti e uniti tra loro con zucchero e miele.

Il Fidanzamento

Quando un giovane si voleva sposare, erano i genitori che combinavano il matrimonio. Mandavano, con tutto riserbo, ’u mbasciaturi -uomo saggio e maturo, a fare la richiesta ai genitori della giovane. Questi si prendevano un limite di tempo a rispondere e nel frattempo riflettevano, si consultavano. Quando la risposta era affermativa, si facevano i ‘capitoli’ (patti scritti), sulla dote che avrebbero dato all’uno e all’altra. Pattuivano il tempo per le nozze. Solo dopo questi intendimenti cominciavano le visite del fidanzato in casa della fidanzata, avendo cura che in casa di lei ci fosse qualcuno dei familiari. Per rendere ufficiale il fidanzamento, il giovane "la singava" , ossia le portava un nastro elegante che le doveva cingere i fianchi l'agoraio, il ditale, le forbici, il pettine, il fuso, la conocchia, la corona del rosario. Il fidanzato di tanto in tanto organizzava con i suoi compagni, delle serenate: sotto la finestra di casa della fidanzata suonavano e cantavano canzoni d'amore, suono di chitarre, di lire e di organetti. La fidanzata con i suoi familiari si affacciavano alla finestra, l'invitavano in casa e offrivano fichi, noci, mandorle, castagne, finocchi e vino. Soddisfatti auguravano la buonanotte e ognuno se ne andava alla propria casa. Era costume che il figlio del massaro, sposasse la figlia del massaro, quello del mastro la figlia del mastro, il figlio del mugnaio quella del mugnaio e così via.

Questo avveniva per un duplice motivo, 1) perchè la moglie sapesse aiutare il marito 2) perché fosse mantenuto il grado sociale. Tutto ciò però era soltanto nelle viste dei genitori, che i figli non sempre condividevano e quindi, innamoratisi, la spuntavano ad ogni costo, anche se dovevano ricorrere alla forza. Appostavano la ragazza quando essa andava alla fontana oppure alla campagna e le portavano via il fazzoletto dalla testa, cosa per se stessa di poco rilievo, ma che per l’opinione pubblica era ritenuta un crimine; allora avvenivano i litigi, guerre, il matrimonio si combinava e si faceva bonaccia. I guai si facevano seri quando vi erano due pretendenti e la medesima ragazza. Si mandavano imbasciate minacciose, agguati, sfide, botte. Per evitare tragedie qualche volta si ricorreva al matrimonio clandestino. Questo ripiego suscitava grida all’ingiustizia, strilli, spacconate dalla parte illesa, ma poi a poco a poco gli animi si calmavano e si tornava alla pace. Avveniva che non sempre le proposte di matrimonio venivano accettate, e anche se accettate non tutte arrivavano a compimento. Allora le serenate avevano mira alla rovescia: canzoni di sdegno, pungenti, roventi. Tutte queste cose avvenivano soprattutto quando ancora non era sviluppata l'emigrazione e i giovani restavano tutti nel proprio paese; sopraggiunta questa le cose cambiarono.

Le Nozze

Il giorno prestabilito, al suono delle campane a festa gli invitati accorrevano alla casa dello sposo e della sposa; la si passavano dolci e liquori in abbondanza. lo sposo, in compagnia degli invitati andava a prelevare la sposa, che in veste bianca veniva condotta in chiesa a braccetto del padre o del fratello. Inginocchiatisi all’altare si compiva la cerimonia, non sempre con la celebrazione della santa messa.

Dopo le nozze gli sposi ricevevano la benedizione con l'acqua santa, dai genitori, dagli zii e dagli altri di famiglia; quindi si riapriva il corteo in cima al quale stavano gli sposi a braccetto, e si andava prima a casa della nuova famiglia, per portare la fortuna dicevano gli anziani, con la benedizione avuta in chiesa e poi a casa dei genitori per il pranzo nuziale. Dopo il pranzo, gli invitati lasciavano il dono portato e dagli sposi ricevevano un bel fazzoletto da portare in famiglia. Da notare che per le vie, dai balconi si gettavano sugli sposi manciate di coriandoli e di grano, in auspicio di lieto avvenire, il corteo rispondeva a sua volta con manate di confetti “cugghianduli”.

Il Funerale

Spirato il moribondo, i familiari si abbandonavano a un pianto sconsolato, con alte grida; accorrevano i vicini stabilita un pò di calma, si vestiva il defunto con il miglior abito e le calze che dovevano essere rigorosamente bianche. Se era confratello della congrega si vestiva con il sacco-divisa. Si avvisava il parroco che faceva suonare la campana a morto, così anche chi era in campagna apprendeva la notizia. la camera del defunto si spogliava di ogni oggetto ingombrante e si adornava a camera ardente dove si pregava e si piangeva.

Se la morte era avvenuta di giorno, a sera si portava la salma in chiesa; se invece di notte, la si portava al mattino di buonora affinché tutti potessero partecipare al funerale. Quando si prelevava il cadavere, avvolto in un lenzuolo, lo si metteva sulla bara, le donne piangevano gridando e strappandosi i capelli. Fatti i funerali la salma restava in chiesa. Sul tardi il sacrestano, che faceva anche da Fossore, ritornava e chiusa le porte della chiesa, spalancava la tomba (botola che si trovava sotto la balaustra della chiesa) e vi calava il legato nel lenzuolo il cadavere, e tutto finiva. ciò avvenne fino agli sgoccioli del secolo XIX; poi come di legge fu fatto il camposanto comunale.

Il Lutto

La famiglia per giorni e giorni restava chiusa in casa; riceveva visite su visite. In casa neppure si cucinava, pensavano i parenti e le pie famiglie a portare da mangiare agli intimi del defunto; allora si portava in cosiddetto "ricunzulu" (pranzo modesto). Prima di mettersi a tavola, veniva messo da parte un buon piatto di minestra e veniva mandato ai poveri in suffragio del defunto. In segno di cordoglio gli uomini vestivano costume e camicia neri e un manto di lana grezza, che non deponevano neppure nei mesi estivi. Le donne mettevano il vestito nero e un grande fazzoletto in testa legato sotto il mento, e neppure in campagna , sotto il solleone si alleggerivano alquanto.

La Superstizione

La gente credeva alla presenza dello spirito dove avveniva qualche omicidio, suicidio o autopsia, credeva “all’occhio”: Si adocchiavano persone, animali, e cose, per cui vi erano maghi, che con le loro magherie - magie, potevano nuocere come potevano liberare dalla magheria; il lamento della civetta, della gallina , l'ululare del cane nelle notti di luna piena erano interpretati di cattivo augurio. Pure il versare per terra olio era ritenuto presagio di sventura, mentre la caduta di vino era presagio di allegria. Un calabrone ronzante vicino, annunziava l'arrivo di una lettera. L’erba dell’ascensione che si raccoglieva e si metteva al capezzale, era segno di buon augurio se fioriva senza seccare. Si credeva alla zingara perché indovinava "la ventura" e l'avvenire.

L'apparizione di comete era presagio di guerre; profanazione pettinarsi di venerdì a proposito delle credenze negli spiriti, sono molti i racconto che si sono tramandati e che ancora oggi nel gli anziani cariesi raccontano.

Famosissima a Caria e la cosi detta "casa i l'animi" (casa delle anime); è una casa che esiste ancora oggi e si trova in via Duomo quasi attaccata alla chiesa parrocchiale oggi disabitata ed usata come magazzino-deposito dai proprietari; e bene, si racconta che in quella casa, accadevano cosa molto strane, secondo gli antichi di notte nelle stanze vi era la presenza di spiriti che camminando facevano udire i loro passi in tutta via duomo ma senza che nessuno vedesse chi camminasse. Sempre secondo gli antichi, di notte in quella casa si sentivano dei lamenti, delle urla disumane.

Addirittura anche gli abitanti della casa sostenevano che durante la notte gli oggetti presenti in casa si cambiavano di posto, sedie e tavoli si spostavano e addirittura durante la notte gli spiriti tiravano le lenzuola a chi dormiva in quelle stanze. Ancora oggi quella casa è nota come a casa i l'animi e la cosa sorprendente e che gli anziani del paese sostengono ancora che quella casa sia abitata dalle anime. Anche se gli anziani del paese sono certi della presenza delle anime mai nessuno ai giorno nostri ha veduto o sentito qualcosa di strano.

Altro racconto che è arrivato ai nostri giorni, ma che contiene un minimo di verità è la storia di "Stefaneju" , Stefanello un bambino che è morto nel burrone di Muzzari (tra Caria e Spilinga), ma di cui non si è mai ritrovato il corpicino o meglio così tramandano gli anziani. Stefaneju era un ragazzino di 9-10 anni che insieme al padre si recava ogni giorno in località Muzzari per pascolare le mucche. Il burrone di Muzzari è vicinissimo al paese di Caria e li ogni giorno Stefano scendeva con le sue mucche, insieme al padre. Un giorno mentre si trovavano al pascolo vennero travolti all'improvviso da una frana staccatasi inseguito alle abbondanti piogge.

Arrivata la notizia in paese, si organizzarono i soccorsi e si iniziarono le ricerche degli sfortunati sperando di trovarli ancora in vita. Sotto l'enorme cumulo di terra venne ritrovato il corpo senza vita del padre di Stefano, mentre del corpo del bambino non si ebbe più traccia, non fu mai trovato. Attorno al corpo non ritrovato del bambino è sorta la leggenda di Stefaneju, che racconta che ogni notte Stefaneju si aggira in quei luoghi. Addirittura c'era chi sosteneva che ogni notte nel burrone di muzzari affacciandosi dal paese si poteva vedere un bambino che nel cuore della notte pascolava le mucche, alcuni sostenevano anche di aver visto e di aver parlato con Stefaneju per le vie del paese durante una notte. Questa storia veniva raccontata e viene raccontata ancora oggi per evitare che i bambini si avvicinino al burrone di Muzzari. Una cosa è sicura mai nessun bambino si è mai avvicinato da solo al burrone proprio perché gli anziani lo scoraggiano dicendo :  “non ti avvicinari a timpa ca ti tira ja sutta Stefaneju (non ti avvicinare al burrone perché Stefano ti tira giù).

Home Page >>====> di

logo.JPG (15023 byte)

e-mail:  Piapia@Poro.it

Di Bella ©CopyRight 2000