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 I Terremoti di Caria

 >>====> Caria

Veduta Aerea  di Caria                   (collezione Pinuccio Naso)  

Terremoti: Caria e in Calabria

 La Calabria nei secoli passati è andata soggetta a vari disastrosi terremoti che molto contribuirono alla sua storia.

 Terremoto del 1783

in cento secondi che durò il cataclisma, cento e cento villaggi e città fiorenti andarono totalmente in rovina. Trentanove mila vittime rimasero schiacciate sotto le macerie; si videro montagne spaccate fino alla cima, alcune valli richiudersi e seppellire nel loro seno sorgenti d’acqua, corsi di fiumi, estensioni di boscaglie.

La storia racconta che la fisionomia delle montagne aveva preso altra figura fino a non far riconoscere gli antichi locali dove erano state strade, palazzi, ed alcuni villaggi. Lo storico Carlo Botta, al riguardo, ha scritto minutamente “Le cause e gli effetti”.

Il governo dei Borboni prese sollecite e premurose misure a soccorrere i disastrati: fabbricò chiese con sistemi anti-sismici, invitò due scienziati dell’accademia di Francia a recarsi sui luoghi del disastro per studiarne le cause, fece redigere al notaio G.B. Petrinelli la platea dei beni di ciascuna parrocchia delle diocesi terremotate.

Questa di Caria fu redatta il 1 dicembre del 1787 e l’originale si conservava presso la Curia di Tropea oggi curia di M.A.S.C.I. a quanto registra mons. Taccone Gallucci vescovo di Tropea, nella dotta relazione che ha fatto in occasione del terremoto del 1905, non ha avuto in quel terremoto, nessuna vittima. Questo è spiegabile perché il terremoto è avvenuto in pieno giorno perciò la gente era tutta fuori casa in campagna sull’altopiano del Poro, Il terremoto però provocò enormi danni all’abitato, il paese venne distrutto quasi interamente. Nella chiesa parrocchiale di Caria fino al 1905 si celebrava il 5 febbraio d’ogni anno la messa detta dei flagelli, in ricordo del terribile terremoto con il S.S. Sacramento esposto e si cantavano le litanie dei santi.

 Terremoto del 1894

il 16 novembre 1894, verso le ore 2 di notte, vi fu una scossa di terremoto che atterrì tutti gli abitanti del paese, tanto da far scappare dalle case persino gli ammalati. L’epicentro fu Palmi (Reggio Calabria) dove ingenti furono i danni della città pochissime furono invece le vittime. Appena avvertita la scossa tutti gli abitanti di Caria con a capo il parroco don Francesco Naso, furono in chiesa a pregare. si pregò a lungo, con fervore; si sono prelevate le statue della madonna e dei santi e s’esposero in mezzo alla chiesa, come nelle più grandi solennità. S’era fatto ritorno a casa ,quando si avvertì una seconda scossa, più leggera, ma tale da mettere in panico tutti. Per fortuna non vi furono danni alle persone, solo una ventina di notti non si dormì più nelle case. Paglia, tettoie, capanne di campagna erano divenute le abitazioni e il paese specie di notte era un vero deserto buio. A Palmi epicentro del sisma si sono rifugiati in baracche di tavole, per più di un quarto di secolo. A Caria i danni si limitarono a qualche lesione alla chiesa parrocchiale (all’altare maggiore) e alle case di minore resistenza.

 Terremoto del 1905

nella notte dell’8 settembre del 1905, alle 3,46, vi fu una scossa di terremoto ondulatorio, così violenta che pareva volesse inabissare tutto. In trenta secondi lasciò i calabresi senza case e senza chiese. La popolazione di Caria si riversò tutta per le vie: chi vestito alla meno peggio, chi seminudo, chi avvolto in qualche lenzuolo.

Grida di aiuto di gente preclusa nelle case,venivano da ogni parte, un polverio denso si sollevava per i muri caduti, impedendo di vedere e di respirare. La popolazione si adoperava per i soccorsi, ma al buio era difficile trovare una scala, una zappa, un piccone per rimuovere le macerie, innanzi alla chiesa, semicaduta, gli abitanti cariesi si incontrarono con il parroco Pugliese, che con voce terrorizzata, gridava chiedendo ‘siamo tutti vivi’; in via duomo la casa di Alessandro Costa era a terra, quella appresso di Agostino Naso ridotta ad un cumulo di macerie: la stanza davanti crollata ed i tre figli:Giuseppe, Bonaventura e Antonio, in camicia, in mezzo alle macerie. avevano solo la testa di fuori, il resto del corpo coperto da pietre e terriccio la camera retrostante, rimasta isolata e crollante, era abitata dalla mamma col bambino Agostino, la quale, come da un castello altissimo sperduto nel buio, piangeva i figli e gridava invocando aiuto! buona gente aiuto.

Poco più innanzi sempre in via duomo la casa di Gerolamo Broso, la moglie Rosaria Pugliese e la loro bambina Maria: furono i primi ad essere soccorsi. Si tiravano le pietre ed il terriccio con le mani, con le unghie, con qualche piccone, ormai comparso. alleggerendo le macerie si sentivano, questi sventurati, invocare aiuto e raccomandarsi l’anima. Si intensificavano gli scavi, ma d’improvviso, sopraggiunse una nuova scossa di terremoto che fece crollare l’unico muro della casa rimasto minaccioso in piedi. Si scappo via per un momento, ma si riprese coraggiosamente e infaticabilmente poiché le vittime davano ancora segni di vita.

Tirati fuori dalle macerie: Girolamo sembrava scavato dalla paura, ma ancora vivo, la bambina pure viva, mentre la moglie fu trovata senza vita: non aveva ferite, era morta di asfissia: in stato interessante non resistette a lungo priva d’aria.

Altri dissotterrarono i fratelli Naso Giuseppe, Bonaventura e Antonio usando la massima cautela, poiché un movimento sbagliato avrebbe fatto cadere le pietre addensate in alto e fatto schiacciare le vittime. Anch’essi furono salvati alla fine anche se un po’ storpiati; girando dalla parte posteriore della casa, venne salvata pure la mamma con il figlio Agostino, lattante.

In piazza Cavour vi era il cav. Ignazio Toraldo ormai in salvo, circondato dai numerosi figliuoli di suo nipote Antonio, il quale raccontò che erano tutti salvi per grazia particolare di Maria S.S. di Romania. Egli aveva com’è pio costume di ogni buon tropeano, un piccolo quadro della Romania, appeso al capezzale, l’architrave che sosteneva il tetto e il soffitto, crollando si appoggiò al piccolo quadro e così don Ignazio poté estrarre, come bassa grotta, i numerosi nipoti tali e quali erano nel letto e li avviò in salvo; dopo di questo il tetto e il soffitto si schiantarono e si unirono al pavimento.

In via Adua, le case crollando hanno distrutto le case, la famiglia di Francesco Pugliese fu Serafino ne uscì malconcia.

In via Carlino (oggi Carlo del Croix) nella casa di Pietropaolo Domenico fu Giuseppe, c’era la figlia Caterina che dalla finestra, piangeva e chiedeva aiuto, “scendi giù” le si gridava, ma come scendere. la porta interna era sbarrata da pietre e calcinacci; non avendo a portata di mano una scala, la donna si sporse dalla finestra, si aggrappò al davanzale dove buone e robuste persone, senza badare al pericolo, alzarono a sostegno le mani, sulle quali lei appoggiò i piedi e scese a terra. “Deo gratias!!!, un’altra vittima destinata alla morte, era salva.

In via provinciale, Francesca Vennera era nel letto insieme alla bambina, coperta da mattoni e calcinacci. alle grida di soccorso, i vicini la dissotterrarono e così se la cavò con alcune ammaccature alla testa e un braccio slogato, guarì in poco tempo.

Dalla campagna circostante al paese, arrivava gente recante altre notizie disastrose e trovava la propria casa ridotta ad un ammasso di pietre. Alessandro costa fu Gioacchino, fu visto in ginocchio sulle macerie della propria casa, in via duomo, spargere grosse lacrime: non erano lacrime per il danno subito, ma di riconoscenza per lo scampato pericolo.

Il paese di Caria fu annoverato tra i paesi distrutti dal terremoto come altri paesi vicini interamente distrutti; il terremoto dell’8 settembre fu così intenso, vasto, disastroso, che commosse il mondo intero. Mons. Taccone Gallucci, nella sua “Notificazione” per le diocesi di Nicotera e Tropea scrisse:” già la fama n’è giunta fino alle più remote plaghe, abbiamo or ora ammirato tra i ruderi e le mura crollanti dei paesi un venerando porporato, decoro della prima metropolitana di Calabria; un magnanimo giovane sovrano; le supreme autorità civili del regno, personaggi distintissimi e sacerdoti zelanti di ogni parte d’Italia, venuti a soccorso dei danneggiati dall’orribile terremoto dell’8 settembre, degli orfanelli, delle città dei villaggi derelitti”.

L’augusto Pontefice Pio X piange la nostra irreparabile disavventura; l’episcopato italiano, anzi quello di tutto il mondo cattolico, rende suffragio ai nostri poveri morti e raccoglie sussidi generosi per i superstiti. I nostri prodi soldati hanno compiuto opere esime di misericordia e di patriottismo .il disastro della Calabria è il pensiero di tutta l’umanità, in questi infausti giorni, come corrispondere a tanta carità e benevolenza ci resta il nostro cuore, ed è per tutti. altro non abbiamo. Il nostro dilettissimo Clero ha dato esempio, nella massima desolazione che ancor lo travaglia, di abnegazione e di pietà, sia quando alcuni fra esso si esponevano ad imminente pericolo di morte onde estrarre dai santi tabernacoli coperti di macerie la S.S. Eucaristia, sia quando tolleravano il ribrezzo del rinvenimento e della sepoltura dei cadaveri nei distrutti ed infelici paesi di Parghelia, Fitili, Lampazzone, Comerconi, Limbadi, S. Giovanni di Daffinà, Castiglione Marittimo, Amantea, Aiello, Nocera Torinese di Savuto, in compagnia degli stanchi soldati. lodevolissima inoltre l’opera loro nell’assistenza ai danneggiati. di Caria.

L’ecc.mo Vescovo non fa menzione perché abbiamo visto come gli scampati al pericolo si cooperavano a tutt’uomo per dissotterrare le vittime. I benemeriti soldati, sotto il capitano Scelittari e con la guida dell’ingegnere Antonelli, stettero parecchio tempo a Caria, a demolire le mura cadenti e ribassare il campanile della chiesa parrocchiale che costituivano i pericolo per gli abitanti. Alcuni soldati siciliani si fidanzarono qua e, finito il servizio militare, si sposarono e fissarono a Caria la loro dimora.

A caria venne il cardinale Portanova Gennaro, arcivescovo di Reggio Calabria che ha visitato la nostra chiesa ormai cadente. da Caria è passato in automobile, il Re Vittorio Emanuele III che da Monteleone (oggi Vibo Valentia) andava a Tropea. La prima automobile che passo da Caria fu quella del Re. sicché i ragazzi, inseguito, al vedere passare qualche automobile, correvano dietro gridando festosamente; u Re! u Re ! credevano che in quella carrozza senza cavalli non viaggiasse che il Re.

 Terremoto del 1908

dal 1783 al 1905 erano passati 122 anni, altrettanti ne passeranno, almeno, pensava la gente, prima di un’altra eventuale simile scossa e si davano a rabberciare le case lesionate, a rifare alla meno peggio le distrutte ed impiantare in fretta le nuove case per metterci il capo. anche la chiesa era stata, con tanti sacrifici dei fedeli, riparata e riccamente decorata, sicché ormai, funzionava con grande soddisfazione e compiacimento di tutti i cariesi; ma ecco, appena tre anni dopo, la notte del 28 dicembre 1908 mentre tutti dormivano tranquillamente, alle ore 5,20 un sussulto, un traballare convulso, un rovino: sembrava il finimondo. Tutta la gente terrorizzata; le vie bagnate ghiacciate diventarono piene di gente che si dicevano l’un l’altro: u terramotu,… terramotu .

Il terremoto ha seminato, in meno di un minuto, la rovina, la morte, lo squallore su tutta la Calabria e la Sicilia. i centri più colpiti e distrutti rasi al suolo furono: Messina, Reggio Calabria Palmi, Scilla, Bagnara Calabra e cento e cento altre città e villaggi, dove furono distrutte case, cattedrali,chiesa ospedali, scuole, conventi ,caserme, biblioteche, istituti, seminari, archivi, tesori d’arte e di storia, ferrovie ecc.

Caria ebbe enormi danni alle case, specie ai fabbricati non ancora riparati o riparati male e danneggiati dal terremoto del 1905. si disse allora: non conviene mettere pietra su calce; costruirono tutto in legname o perlomeno con lo scheletro di legname. e si ricorse a baracche o a case allignamate.

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