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 Zungri: 'a Madonnejia   di Francesco Fiamingo

 >>====>  Zungri 

All'uscita del paese nel rione chiamato "Castejiu" è ubicato un antica Edicola, con l'immagine delle anime del Purgatorio che invocano la Madonna.

Nella consuetudine locale, proprio in quel punto, avviene la separazione, il distacco tra I famigliari e la bara con il defunto che prosegue il Suo cammino verso il cimitero, seguita dallo sguardo dei propri cari.

A questi momenti di massima intensità, riflessione e commozione, il poeta dialettale Francesco Fiamingo ha dedicato questa toccante poesia.

In sottofondo la Poesia recitata dall'autore.

Di seguito l'immagine dell'Edicola e la Poesia della Madonnejia.

Il Tabernacolo della Madonnejia

La poesia dialettale a " Madonnehjia"

incisa su una targa in cemento da un ex muratore.

La parete della targa è sul lato sx del'edicola votiva.

di seguito la Poesia dialettale inedita, tratta dalla raccolta

“ Quadretti Zungresi ” di Francesco Fiamingo

“A Madonnejia”

Da sempri sutta nu santeri, si trova a Madonnejia di l’animi di prejieri.

“ O Madonnejia !

Quantu lacrimi vidisti,

quantu triguli sentisti,

quantu trizzi sciogghisti,

quantu cori spartisti.”

Poi, quando a bara si movi chianu chianu,

sutta tutti l’occhi ca seguinu luntanu,

di Tia, non s’accorgi mai nessunu

mentri Tu, ad unu ad unu,

tutti, davanti a Tia 'ndi vidi sostari,

u jiornu du funerali.

Francesco Fiamingo

“La Madonnella”

Da sempre sotto un sentiero, si trova la madonnina delle anime del Purgatorio.

“ O madonnina !

Quante lacrime hai visto,

quanti lamenti hai sentito,

quante trecce hai sciolto,

quanti cuori hai diviso.”

Poi, quando la bara si muove piano piano,

sotto tutti gli occhi che la seguono da lontano,

di Te, non s’accorge mai nessuno

mentre Tu, ad uno ad uno,

tutti noi, davanti a Te ci vedi sostare,

il giorno del nostro funerale.

Francesco Fiamingo

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di seguito il Racconto inedito tratto dalla raccolta

“ Quadretti Zungresi ” di Francesco Fiamingo

"I Metituri" di Francesco Fiamingo

E’ una mattina d'inizio Luglio ed in Via Umberto, sulla panchina in cemento, si respira il fresco del mattino, mentre di fronte, il sole illumina la parte superiore della siepe costituita da rovi e piante di sambuco; seduti ed intorno alla panchina, si trovano gruppetti d'uomini che parlottano tra loro, ogni tanto qualcuno  gira con lo sguardo all’indietro, mentre qualche altro fa un passo a sinistra per guardare l’altezza del sole.

Questi gruppi di persone, danno l’impressione di essere in una fase d'attesa, sono i cosiddetti “metituri frusteri vale a dire, mietitori provenienti d'altri paesi, che in questo periodo prestano la loro mano d'opera, nella raccolta del grano nelle nostre campagne. E' bene precisare che in quel periodo di riferimento, il nostro fertile territorio, era adibito esclusivamente alla coltivazione del grano o granturco ed i lavoratori locali non erano sufficienti. I piccoli proprietari avevano l’esigenza di eseguire al più presto la raccolta per il pericolo d'incendi, inoltre era usanza che il grano doveva trovarsi disposto sull’aia in grandi covoni già prima della Festa del 5 agosto, pronto ad essere trebbiato.

Questi “ metituri “ erano inoltre molto richiesti, per la particolare abilità in questo genere di lavoro. In lontananza sulla strada, appare “u massaru Ciccantoni”, al quale occorrono almeno quattro mietitori; è arrivato presto per appaltare i più capaci. I mietitori si mantengono raggruppati intorno al muretto, nei loro discorsi commentano il lavoro della giornata precedente, la tipologia del grano o avena che hanno lavorato, il pranzo fornito dalla massara “ 'o morzeiu”, in pratica prima di mezzogiorno, e la colazione "cu vesperu"  nel pomeriggio. Di questo alcuni elogiano i proprietari per quello che gli è stato fornito, pasta, satizzi, supprrassata, capicoiju, insalata di pomodori e vinu bonu, altri si lamentano perché hanno avuto del vino torbido, lardo di maiale "salatu" (il salato). Insalata piena di cipolla senza pomodori, olive in salamoia; in ogni modo si spera in meglio per la giornata in corso.

  Nel frattempo sono arrivati altri mietitori in bicicletta che si sono momentaneamente seduti sui gradini in cemento del palco. Vestono una camicia di colore beige militare e tengono la falce chi appoggiata sulla spalla, chi agganciata alla cintura dei pantaloni. Il nostro Massaro, con aria sorniona, scruta l’ambiente senza esporre subito le sue necessità, sviluppando in sé  alcuni ragionamenti: Il mietitore che si attorciglia una sigaretta con tabacco già di buon mattino, chissà quante volte si fermerà durante la giornata per rifarlo; quelli che hanno la bicicletta e “ u rivoggiu o puzzu “ (l'orologio al polso) ad un preciso orario lasciano il lavoro qualunque sia la necessità in quel momento, perché intendono ritornare la sera al proprio paese, mentre “all'anta” (al fronte di lavoro) del nostro massaro, l’orologio ha un solo nome " 'u suli " (il sole). Questo significa che la giornata lavorativa inizia di buon mattino, per terminare con il calare del sole; sono queste le ore meno calde in cui si riesce a lavorare con meno fatica, mentre nelle ore più calde è possibile riposare o schiacciare un pisolino all'ombra. I mietitori nel loro parlottare, fanno sfoggio d'alcuni strumenti che utilizzano durante il lavoro, si tratta d'astucci di canna  denominati “canneji” (cannelli di canne) che il mietitore infilza parzialmente sulle dita della mano sinistra con la quale impugna il fascio di spighe a protezione da eventuali tagli della falce.

  Con le prime ore del mattino, tutti sono appaltati per la giornata lavorativa o per più giorni e si avviano, per le strade di campagna insieme al datore di lavoro, chi a piedi, chi sul carro agricolo del massaro, chi come qualche anziano in groppa al suo asino. La giornata di lavoro anche se pesante o lunga, è trascorsa nella piena allegria con canti popolari, non mancano riferimenti alle canzoni di San Remo o napoletane, oppure ai primi programmi popolari della televisione, quale il  "Musichiere". Di tanto in tanto, alla richiesta dei mietitori, un ragazzo con una "gozza" di terracotta svolge il compito di portare una bevuta d'acqua fresca, o  un bicchiere di vino travasato da un barilotto di legno definito "pirettu".

  La prima interruzione del lavoro avviene intorno alle ore undici, orario indicato come “u morzeiu”, quando arriva “a massara ca cofineia in testa”. La donna apparecchia per terra al fresco di un albero il pasto principale della giornata. Le giornate sono normalmente calde ed assolate; con le ore pomeridiane il mietitore volge spesso lo sguardo verso il nord dell'orizzonte. La comparsa di piccole nubi basse anticipa l'arrivo di un leggero venticello fresco con un pò di "rifrigeriu" (rinfresco); quando ciò non avviene, le ultime ore della giornata diventano le più calde, e nel detto locale questa fase è indicata come "scindiu na rasa i suli".  Sono ore di lavoro molto pesanti in cui il frinire delle cicale prende il sopravvento su tutte le altre voci. Una breve interruzione pomeridiana, per mangiare un boccone e dissetarsi costituisce una consuetudine definita “ 'u vesparu”. Si  prepara un’insalata di pomodori e cipolla, "u salatu" tagliato a quadretti, e la rimanenza di qualche bicchiere di vino. L'ultimo lavoro della giornata consiste nel concentrare in alcuni punti del terreno i fasci di grano mietuti. Il massaro con esperienza e maestria li dispone uno sull’altro a strati circolari con la spiga rivolta all'interno. Ne viene fuori un covone a forma conica, comunemente chiamato "timogna". Sull'ultima spira di "gregne" è fissato il ramoscello d'olivo  benedetto, ormai secco, disposto nel campo il giorno delle Palme.

  Ormai è buio, i mietitori abbandonano i campi per dirigersi verso il paese e sulla strada si concentrano a "frotte", vale a dire a gruppi, per chiacchierare lungo il percorso. L'uomo anziano insieme al nipotino procede in groppa al suo asinello, la moglie con il cesto circolare in testa, per mantenere il passo, si aiuta nel suo camminare aggrappandosi alla coda dell'asino. Il carro agricolo, con tutti i famigliari e quanti riescono a salire sopra, prosegue nel suo percorso verso il paese lasciando dietro una scia di polvere.

  A sera, i mietitori cenano mettendo qualche boccone  in fretta, nella casa del proprio datore di lavoro, poi si recano in uno dei tanti fienili nelle vicinanze del paese dove, su un giaciglio di paglia, trascorrono la notte. Sono notti calde e stellate del mese di Luglio, il “tir tir tir “ dei grilli copre il silenzio e di tanto in tanto qualche cicala riprende il solitario frinire.

  All’alba il tubare dei piccioni sul tetto del fienile, è la sveglia per il mietitore. Inizia una nuova giornata di lavoro.

 Zungri - Febbraio 2006  Francesco Fiamingo

Immagine dell'Edicola di " A Madonnejia " nel 2013

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