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 I Rombuli di Aramoni e Brattirò

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TOTI ROMBULI DELEANTUR: "Siano Sterminati tutti i Rombolà"

L’editto di Carlo d’Angiò nel XIV secolo mirava a sterminare quelli che portavano questo cognome

TOTI ROMBULI DELEANTUR:

"Siano Sterminati tutti i Rombolà"

Secondo la leggenda si salvò solo un bambino che diede poi seguito alla stirpe

Coloro che fanno di cognome Rombolà oggigiorno sono tantissimi e si portano dietro una storia particolare che molti di loro neppure conoscono, ma della quale esistono fonti storiche e che abbiamo deciso di riportare in questo pezzo giornalistico per divulgare un episodio che ebbe come protagonisti i loro antenati, letteralmente perseguitati da un sovrano più di sette secoli fa.

La leggendaria ARAMONI e le cause del malcontento che portò alla persecuzione

L’episodio cui si sta per fare riferimento risale ai primi anni del XIV secolo. L’allora re Carlo II d’Angiò, detto "Lo Zoppo", personaggio storico citato anche nell’inferno dantesco, tramite una complessa vicissitudine politica, riuscì ad annettere sotto il proprio dominio buona parte dell’Italia meridionale.

A suggello della sua azione, il re decise di assegnare ai fedeli ufficiali-vassalli le contrade collocate nel territorio della provincia vibonese. Tale situazione – siamo in piena lotta tra angioini e aragonesi - produsse una forma di malcontento tra la popolazione, soprattutto in alcune zone tra le quali quello che oggi è il territorio del comune di Drapia (la località cui si riferirebbe la vicenda dovrebbe essere - il condizionale è d’obbligo - la leggendaria "città" di Aramoni che sorgeva nell’area tra l’attuale territorio di Drapia e quello di Spilinga).

Questi contadini si opposero fortemente al tentativo di dominazione e, ben presto, si trasformarono in briganti. I vassalli denunciarono al sovrano le difficoltà ad annettersi il territorio loro assegnato, e fu così che il re scatenò la repressione contro i rivoltosi mandando un agguerrito contingente militare a stabilire l’ordine e la predominanza della volontà reale. 

Cosa c'entrano i Rombolà con tutto ciò

Ebbene, all’interno di questa particolare circostanza, proprio i familiari di un Rombolà, per liberare un loro congiunto fatto prigioniero dall’esercito reale, perpetrarono un agguato contro i soldati del Re e li decimarono. Il fatto di sangue avvenne nei pressi di Torre Galli, località situata nella zona sud del Poro.

I Rombolà, secondo le ricostruzioni storiche della vicenda, seguirono il contingente con i prigionieri percorrendo la fiumara Ruffa, tragitto parallelo a quello su cui stavano marciando gli accoliti del re, risalirono poi verso la collina e si nascosero nel bosco. Sorpresero quindi i soldati e fecero una strage.

In tale luogo ancora oggi succedono - a detta di molti - episodi strani e inspiegabili. Alcuni raccontano del vento che si alza improvvisamente quando ci si avvicina ad un determinato punto, altri sentono rumori e voci confuse, e altri ancora che si sono recati a tagliare la legna nel medesimo posto affermano di aver subito addirittura delle percosse. Il sito, insomma, sembra essere popolato da spiriti inquieti che non vogliono essere disturbati (almeno è così che viene descritto e percepito  nell’immaginario collettivo di questi luoghi).

Tornando alla strage di inizio ‘300, dopo il fatto di sangue, per rispondere all’affronto subito, il re emanò un editto famoso, del quale è ancora oggi possibile leggere il contenuto in un volume custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.

Il provvedimento, intitolato "Toti Rombuli Deleantur" (“Tutti i Rombolà siano sterminati”) mirò proprio a rafforzare il contingente militare del sovrano e ad eliminare fisicamente tutti coloro in possesso di questo cognome.

I Rombolà lottarono fieramente per opporsi all’esecuzione dell’editto, dimostrando grande coraggio e spirito di solidarietà. Ma un simile provvedimento, dal titolo emblematico e terrificante, portò a molto spargimento di sangue e ad una vera e propria carneficina, che ridusse drasticamente la "stirpe".

Gli studi del Prof. Franco Rombolà

Per dare maggiore fondamento a quanto descritto, riportiamo, traendola dagli studi del compianto Prof. Franco Rombolà di Brattirò (medico chirurgo presso l’ospedale Annunziata di Cosenza, docente universitario appassionato di storia ed amante del suo paese natio) una nota dello studioso Diego Corso estrapolata, a sua volta, da "Tradizioni sulla terra di Aramoni in Calabria".

La postilla riferisce, appunto, che "il decreto di Carlo II ordinava si distruggessero i Rombolà quali assassini e masnadieri per i fatti atroci consumati a danno dei passeggeri e viandanti, che dopo essere stati derubati e feriti venivano crudelmente bruciati nelle gole delle montagne".

Il documento individuato dal prof Rombolà aggiunge un altro particolare alla storia. Si legge, infatti, che "un solo bambino di tre anni scampò alla strage e, allevato in un villaggio lontano, in prosieguo fu il progenitore dei diversi rami Rombolà esistenti nella regione”. Quest’ultimo tassello della vicenda, con ogni probabilità, non è molto attinente alla realtà. Esso, tuttavia, rende abbastanza bene l’idea del punto fino al quale si spinsero le atrocità commesse dagli uomini del sovrano.

 La Chiesa antica di Brattirò soprannominata di SANTICOCIMEO

I riscontri della vicenda tramandati verbalmente

Per ricoprire di ulteriori approfondimenti questa vicenda e, soprattutto, per dare riscontri tangibili circa la riconducibilità del cognome Rombolà al contesto brattiroese, si possono affiancare alla storia delineata altre fonti tramandateci oralmente e abbastanza attendibili.

Queste, infatti, affermano che i Rombolà, durante il periodo della loro lotta contro la persecuzione che li allontanò da Aramoni, furono aiutati a nascondersi non lontano dalla città scomparsa dai monaci basiliani, a quei tempi disseminati in più punti del territorio, coi quali la popolazione contadina aveva instaurato un rapporto di collaborazione e di amicizia. In particolare, i frati erano dislocati ai piedi della collina "Massaria", che ancora oggi sovrasta il villaggio di Brattirò (in località Santicocimeo, dove si trova l’omonima chiesa e dove molto anticamente venne portato il culto dei Santi Medici Cosma e Damiano da cui scaturì la rinomata festa brattiroese in loro onore di fine settembre).

In prossimità di questa località, stando sempre alle informazioni trasmesse verbalmente, l’insediamento basiliano, del quale si ha comunque certezza, divenne quindi un provvidenziale rifugio per i perseguitati che, con ogni probabilità si aggregarono al nascente agglomerato che prese poi il nome Brattirò (il paese allora stava per sorgere non lontano dall’insediamento basiliano, vicino alla cosiddetta "Funtana Vecchia", tuttavia agglomerati di contadini erano sparsi nelle campagne circostanti tra cui appunto la contrada chiamata “Santicocimeo”). 

Oggi il cognome Rombolà è molto diffuso soprattutto a Brattirò’

I Rombolà perciò, in seguito si sarebbero stabiliti definitivamente in questi luoghi dove, ancora oggi, rappresentano di gran lunga il cognome più diffuso tanto che la parola “Rombolà” è  divenuta, in tutta la provincia di Vibo, quasi sinonimo di brattiroese. A Brattirò, che conta circa 900 abitanti, la stragrande maggioranza della popolazione è infatti in possesso del cognome Rombolà. In pratica quasi in ogni famiglia vi è un Rombolà (tanto per fare un esempio, nel nucleo familiare di chi scrive - brattiroese “nato, cresciuto e pasciuto”- il cognome materno è proprio Rombolà). La stragrande maggioranza di coloro che portano questo cognome quindi vive, oppure è originaria, di Brattirò frazione più grande e popolosa del Comune di Drapia.

Se nel conteggio considerassimo il numero di Rombolà che, sempre originari del centro drapiese, vivono lontano dal paese (molti all’estero), la cifra risulterebbe molto elevata (nel corso degli anni molti Rombolà sparsi nel mondo hanno raggiunto posizioni di prestigio e di tutto rispetto).

Di spirito libero e combattivo, non si sono mai piegati alle avversità del destino, neppure di fronte ad un editto fatto ad hoc per sterminarli. Questa fierezza, le cui origini - come visto - sono ben individuabili, li ha resi sempre orgogliosi del loro nome e fa parte ormai della loro personalità. Fa un certo effetto pensare che tutta la stirpe derivi da quel bambino che - secondo la leggenda sopra riportata - venne risparmiato dalla furia del re angioino più di sette secoli fa.

Mario Vallone

Luogo esatto presso Torre Galli di Drapia dove i Rombolà

uccisero i Soldati del Re il quale poi Scateno la Persecuzione

Il Campanile Brattirò foto di Rosalinda Di Bella (con mamma Rombolà)

Brattirò La Piazza Cesare Battisti

Brattirò

il corso Vittorio Emanuele

e

la Chiesa

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