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Don Michele Loiacono Sacerdote Oblato
Omaggio a Don Michele Loiacono - "Un Sacerdote del Poro" Nato a Drapia il 13 Marzo 1902, è morto a Drapia il 27 Gennaio 1984 Immergere il tempo nell'eterno; autentico spirito di povertà; umiltà; totalitaria oblazione al Signore e ai fratelli; prepararsi sapientemente alla morte - Michele Loiacono |
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Cenni Biografici Don Michele Loiacono, nasce il 13.03.1902 a Drapia, piccolo paese sul piano che sovrasta Tropea, da una famiglia semplice e molto religiosa che certamente influì sulla sua formazione umana e spirituale. A Drapia trascorse la sua prima infanzia che fu segnata dal dolore per la perdita del padre, emigrato in Argentina in cerca di lavoro. La madre, una donna sensibile e profondamente religiosa, aiuto il piccolo Michele e gli altri due figliuoli a penetrare il mistero del dolore alla luce della fede e, per poter dare ai figli una solida formazione, si trasferì con la famiglia a Santa Domenica di Ricadi, dove era parroco Don Pasquale, zio paterno. Ben presto il giovane Michele sentì nella sua anima il desiderio di consacrare tutta la sua vita a Dio nel sacerdozio e iniziò gli studi a Pedara (CT) dove si trovava lo zio materno Michele, sacerdote salesiano. A tredici anni entrò nel Seminario Vescovile di Tropea, dove ebbe come compagno il seminarista Francesco Mottola. Insieme a lui proseguì gli studi nel Pontificio Seminario Regionale "S. Pio X" di Catanzaro, dove maturò l'ideale di una vita sacerdotale vissuta nella preghiera, nel sacrificio e nel dono totale di sé. A causa del servizio militare dovette interrompere gli studi e recarsi ad Ancona. Come egli stesso ricordava, questo periodo fu per lui di grande disagio sia per l'ambiente superficiale in cui doveva vivere, sia per le difficoltà incontrate nel custodire la sua vocazione sacerdotale. Finito il servizio militare condusse a termine gli studi e si preparò a ricevere l'ordinazione sacerdotale nel silenzio, nella preghiera e nell'austerità. |
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Don Michele Loiacono Vita e Opere Il 3 maggio 1925 Don Michele venne ordinato Sacerdote. Il suo programma di vita fu: "Immergere il tempo nell'eterno; autentico spirito di povertà; umiltà; totalitaria oblazione al Signore e ai fratelli; prepararsi sapientemente alla morte". Amò il Sacerdozio e cercò di vivere in pieno sino alla fine dei suoi giorni l'ideale di preghiera, di sacrificio, di dono che animò la sua giovinezza sacerdotale. Nei suoi scritti cosi si legge: "O Signore, desidero completare la mia giornata terrena da sacerdote che vive nella tua intimità e tutto proteso al bene delle anime". E visse veramente sacerdote ! Nelle varie parrocchie in cui svolse il suo mistero pastorale fu sempre disponibile a dare il meglio di se stesso ai bambini, ai giovani, agli ammalati, agli adulti, agli anziani, agli ammalati. La sua prima esperienza pastorale avvenne a Belmonte Calabro, come cappellano della Chiesa del Carmine. Condivise la camera con un altro sacerdote, sottoponendosi con serenità a tutti i disagi che la situazione del momento gli offriva. Dal 1926 al 1936 fu parroco di Brivadi (VV) dove, in un decennio di umile e silenzioso lavoro , sparse il seme della Parola e della testimonianza. Nel 1931 Don Michele fu tra i primi firmatari della Regola dei Sacerdoti "Oblati del S. Cuore" e, come tale assunse un maggiore obbligo di obbedienza al Vescovo. Mons. Felice Cribellati allora Vescovo di Tropea, era cosciente della serietà con cui Don Michele viveva il suo sacerdozio e nelle situazioni più difficili della Diocesi, specialmente quando non trovava disponibilità in altri, ricorreva a lui. Era risaputa una sua affermazione: "Don Michele non dice mai di no!". Più di una volta, quindi, è stato chiamato ad affrontare situazioni difficili in cui veniva messa a prova la sua virtù. Fu così per la parrocchia di San Nicolò di Ricadi, per quella di Falerna nel 1936, e poi Brattirò (VV) dal 1936 al 1939. Quest'ultima fu l'esperienza più terribile dal punto di vista umano. In spirito di ubbidienza, per un triennio, subì rifiuti, minacce, umiliazioni e insulti, ma la sua sofferenza più grande era la freddezza spirituale del popolo e il dolore che veniva procurato alla sua mamma. In tale situazione, umanamente insostenibile, non ebbe mai parole di condanna; preferiva non parlarne, ma custodire nell'offerta silenziosa tutto ciò che gli procurava dolore, unendolo alla Passione di Cristo-Signore. L'11 febbraio 1939 fu nominato parroco di Gasponi. Molti ricordano ancora il suo ingresso processionale dall'entrata nel paese fino alla chiesa: era chiara la percezione che Don Michele era un grande dono per la Parrocchia. Amò la povertà: visse e morì povero. Seppe condividere la condizione degli ultimi e, per molti anni, si adattò ad abitare in un'umile casetta priva di ogni conforto, tanto che quando venne a visitare la Parrocchia Mons. Saba restò meravigliato di come il Parroco potesse vivere in un ambiente così augusto e mal protetto dalle intemperie. Don Michele era attento ai bisogni del popolo. In quel periodo storico di estrema povertà per la maggior parte degli abitanti, le mamme erano costrette a lavorare fuori paese e trovavano enorme difficoltà per l'educazione dei bambini, costretti a rimanere soli in casa. Si diede perciò da fare per l'istituzione di una Scuola Materna privata (parrocchiale), che realizzò, dando in tal modo un sollievo a tante famiglie. Durante le vicende dell'ultima guerra, in cui anche su questo territorio piovvero le bombe americane dal cielo, egli, nonostante la sua timidezza, rilevava una grande serenità che contrastava col panico generale e la sera si recava nei vari posti (generalmente le grotte del posto) dove era rifugiata la gente per dare una parola di conforto e sollievo. Il suo fisico, già tanto provato, non resse a lungo e si ammalò gravemente; l'11 febbraio 1956 venne ricoverato a Roma. Al ritorno dell'ospedale riprese la sua attività pastorale prendendosi anche cura della educazione spirituale dei ragazzi della Colonia permanente "Villa Felice" di Sant'Angelo. Tra le sue premure pastorali occupò un posto privilegiato l'Azione Cattolica, curò l'educazione spirituale e catechistica dei giovani e degli adulti, tanto che i giovani della Parrocchia figurarono più volte ai primi posti nelle gare annuali di cultura religiosa sia a livello diocesano che regionale. Nel 1957, grazie al suo interessamento, fu ultimata la chiesa parrocchiale. Sebbene in uno stato di salute alquanto precario e sempre impegnato nella sua parrocchia, svolse con scrupolo e ardore anche il compito di direttore spirituale del Seminario diocesano di Tropea. Fu suo privilegio quello di essere stato compagno e confidente del Servo di Dio Don Francesco Mottola. Con lui condivise dolori e gioie, sogni e speranze anche nei momenti più difficili, ed era perciò naturale che, alla morte di Don Mottola, ne assumesse l'eredità spirituale. In tal compito lavorò con ammirabile dedizione e curò attentamente la formazione spirituale degli "Oblati e delle Oblate del S. Cuore". Nel 1975 la Parrocchia volle festeggiare il 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. La sua sorridente austerità lo accompagno fino a quando i suoi occhi si chiusero alla vita terrena. Era il 27 gennaio 1984. Il popolo addolorato la mattina del 28 accompagnò la salma per le strade del paese e poi, nel pomeriggio furono celebrati i funerali in piazza, perchè la chiesa non poteva contenere l'afflusso di gente. Tre Vescovi, quarantacinque sacerdoti di varie diocesi della Calabria celebranti e fedeli di varie parti gremivano la piazza. Nella Omelia Mons. Domenico Cortese così lo ricordava: "Il vero senso della vita di Don Michele Loiacono: essere l'uomo e il servo dell'Eterno nell'oblazione generosa e totale. La sua vita fu consacrazione, oblazione, servizio, con le caratteristiche proprie della dimensione e natura dell'oblazione: l'amore, l'umiltà, la mansuetudine, la donazione fino al sacrificio. Don Michele ha onorato il Sacerdozio testimoniando, nell'umiltà della sua vita e nella generosità del suo servizio, il valore e la potenza dell'oblazione". La salma portata a spalla dai giovani, fu accompagnata al Cimitero da tutto il popolo e dai partecipanti al rito funebre. Adesso la sua tomba è situata in mezzo a quelle dei suoi parrocchiani, quale segno della sua missione sacerdotale che lo ha collocato al crocevia della vita di tutti i suoi fedeli. |
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Don Michele con i ragazzi della I° Comunione del 07.05.1966 |
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Don Michele - Viaggio a Lourdes 4-9 Agosto 1956 |
Don Michele e Don Giulio Spada 6 Agosto 1967 |
Don Michele con il Gruppo Giovanile parrocchiale di Gasponi.
In gita ad Assisi e Roma, in occasione dell'Anno Anno 1975 |
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Celebrazione del - Centenario della Nascita La ricorrenza centenaria è stata ricordata nella comunità di Gasponi, in cui trascorse 45 anni della sua missione sacerdotale, con un triduo di preparazione spirituale animato da sacerdoti oblati, dalle oblate e dagli oblati laici. Riportiamo le testimonianze fatte durante il triduo di preparazione nella parrocchia di Gasponi. |
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Don Michele Padre e Maestro nella Fede di Liliana Vita Parlare di Don Michele Loiacono, per me e per quelli della mia generazione, significa ritornare alle radici della nostra fede. Significa infatti, oltre al ricordo di una persona cara che rimane nel cuore di quanti lo abbiamo conosciuto, fare memoria di un padre, di un maestro nella fede. Un maestro di quelli credibili, che hanno percorso la strada prima di indicarla agli altri, di un maestro quindi che è anzitutto un testimone. Don Michele, nella mia vita, è stato una figura presente e significativa fin dall'infanzia e ripensarlo oggi con il realismo della maturità, non diminuisce l'intensità dei ricordi e la solidità della sua figura come modello di riferimento, dal momento che in diverse circostanze lo ritrovo dentro di me ad illuminare le mie scelte. Come ricordo Don Michele? La prima immagine che si taglia netta nella memoria, è quella della sua grande paternità. Un sacerdote che è stato veramente padre, forte e insieme tenero e misericordioso. Come padre sapeva aiutare con pazienza, delicatezza e discrezione, sapeva ascoltare, guardare negli occhi e, spesso anche nel silenzio, sapeva indovinare quello che, per timidezza o pudore, non riuscivi a dire. Egli sapeva infatti, dietro la sua apparente severità, instaurare con le singole persone relazioni intense, da creare in ognuno la sensazione di essere privilegiato. L'incontro con lui ricaricava di fiducia e speranza. Da padre, si donò completamente, non risparmiando tempo, risorse ed energie per il bene del nostro paese che egli amò con tutto se stesso e per il cui bene offrì la sua vita. Ricordo, specialmente negli ultimi tempi, quando in modo accorato e appassionato richiamava alla conversione e aggiungeva: "Offro la mia vita per voi". Un altro tratto caratteristico di Don Michele, è quello di essere stato un uomo di preghiera autentico; egli, mi viene da dire, era un uomo divenuto preghiera, tutto in lui parlava di tensione spirituale e di preghiera continua. Come non ricordare, specialmente quando, ormai vecchio e malato, ripeteva continuamente - quasi come un mantra- : "In te Domine speravi, non confuntar in aeternum". Ancora un'altra immagine, che mi porto dentro, è il suo volto luminoso, espressione di un cuore puro, mite, pacifico, povero. Povero, come disposizione interiore di consegna nelle mani di Dio, e povero, nel senso di scelta di uno stile di vita povera ed essenziale fondata sulla rinuncia, sul sacrificio, sulla penitenza per se stesso, ma sulla generosità e magnanimità per gli altri. Penso che l'eredità di Don Michele appartiene in modo particolare a tutta la comunità di Gasponi e tutti noi siamo chiamati a custodire e far crescere ciò che lui ha seminato nel cuore di ognuno, rendendo così lode a Dio che continua ad operare in modo mirabile nell'ordinario della nostra vita. Gasponi 2002 Liliana Vita |
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Riportiamo alcune frasi tratte da una Omelia della Messa di Natale, celebrata in uno degli ultimi anni della sua vita terrena: "Vorrei santificare le vostre anime. Non io che sono un povero prete, ma Cristo deve santificarvi. Io posso solo dare la mia opera, la mia povera collaborazione di preghiera, di sacrificio e di morte, la mia vita per la vostra salvezza nella preghiera più viva, nel sacrificio del mio povero essere, e poi la mia povera parola per essere luce delle vostre anime e fuoco dei vostri cuori. Il Signore accolga la mia nullità di vostro pastore. O Signore Gesù, ti prego, dammi la grazia, dammi la consolazione che questo mio gregge possa diventare un'aiuola di cielo, fa' che questo mio gregge possa essere consumato nella fede, nella speranza, nella carità". Annina Iannello |
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Il padre che sapeva amare e attendere Sarò Brevissimo, ma non potevo mancare. Spesso ero io che lo cercavo, altre volte era lui a chiamarmi. Voglio apportare un solo particolare. Don Michele, nei suoi limiti, era pieno di dottrina, ma vuoto di possesso. Dentro di sé non c'era una realtà di possesso, per cui non "pesava" sugli altri. era sapiente, prudente. Sapeva amare, ascoltare ed attendere senza intrusioni. Saverio Lo Cane |
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Don Michele L'uomo di Dio che si è donato ai fratelli Una riflessione conclusiva più che una testimonianza, perchè quando don Michele morì avevo nove anni, e di lui mi ricordo il funerale fatto fuori, nello spiazzale della Chiesa. E ricordo anche dove stavo io. Stavo vicino ai gradini della porta, dietro i chierichetti più grandi. E non e che sia riuscito a vedere molto. Ho di lui, due ricordi precisi, questi si molto nitidi. Quando molte volte, dopo la messa, portava i chierichetti a casa sua, apriva un grosso cassettone, che aveva nella sala da pranzo, dal quale tirava fuori dei dolci. Questo è uno dei ricordi proprio precisi che ho di lui. E mi ricordo anche il tipo di dolci. Erano delle "Taralle", che affettuosamente ci dava. A noi sembravano strane, anche perché erano dure. E' un ricordo infantile che ho di lui, perchè ero ancora un bambino. Ho di lui un altro ricordo ben preciso. Il giorno dopo la festa di sant'Acendino, il complesso aveva lasciato gli strumenti in fondo alla chiesa. Lui entrò dalla porta laterale, io gli venni incontro dalla porta principale e ricordo lo sguardo di fuoco che diede a quegli strumenti. Non tollerava che la chiesa fosse trattata da deposito per il senso forte che aveva della sua sacralità. Di lui io ho chiarissime queste due scene che mi sono rimaste impresse. Il resto è tutto un poco oscuro. Per me, bambino, come penso per tutti gli altri miei coetanei, don Michele era un uomo anziano che in Chiesa faceva delle cose che per noi erano quasi giochi: quei paramenti colorati, quei canti con l'armonium. Ci attivava questo aspetto, diciamo così, della liturgia molto giocoso e questo uomo anziano, di una anzianità venerabile, ecco, di una chiarezza venerabile. Sono questi i sentimenti, che sorgono in me, quando penso a lui. Ritengo che non dobbiamo rischiare in questi giorni, in cui noi ne ricordiamo la memoria, di cadere nella retorica, che sarebbe la cosa, che a lui sarebbe piaciuta di meno. Sull'immaginetta ricordo, sta scritto: "visse la povertà evangelica e ne fece il suo tacito dono", cioè virtù nascosta. Don Michele non era un uomo che amava la pubblicità. Tutto ciò e le testimonianze, che ho sentito, trovano anche un ricordo. Non era un uomo che si vedeva tanto in giro. Casa e Chiesa. Però era un uomo che sicuramente ha saputo vivere, nonostante i suoi limiti umani, come li abbiamo tutti, il ministero che Cristo gli aveva affidato. Un ministero non sempre facile e sappiamo tutti che, prima di arrivare a Gasponi, ebbe delle esperienze non molto piacevoli, per la sua fedeltà e per la sua obbedienza al mandato del Vescovo. Si rischia spesso, nelle commemorazioni, di non ricordare le difficoltà. Don Michele, prima di venire in questa Parrocchia, ne ebbe tante, perché lui volle essere obbediente fino alla fine. E allora è il Pastore che, più che con le omelie, ci parla con la vita. Una vita fatta di amore alla povertà evangelica, una vita coerente con l'obbedienza che aveva professato nelle mani del Vescovo, una vita, io penso,sacrificata fino in fondo per l'ideale che aveva nel cuore e cioè quello di conquistare gli uomini per la gloria di Dio. E' l'eredità più bella, che a noi sacerdoti lascia questo sacerdote, cioè il fatto che fino in fondo ci ha insegnato a vivere quelli che sono i valori evangelici. Ed è un monito, penso io, per tutta la nostra comunità in un tempo in cui noi rischiamo di annegare nel superfluo e nell'inutile. L'esempio di quest'uomo, che ha saputo andare alle radici e all'essenzialità, ci invita a riscoprire uno stile di vita cristiano fondato sulla povertà evangelica, che vale per tutti i cristiani, e fondato sull'obbedienza evangelica, che per il cristiano è ancora una virtù. E allora questo nostro ricordare, questo nostro fare memoria (la maledizione degli uomini - diceva uno scrittore - è che dimentichi), significa non abbandonare il passato all'oblio e non abbandonare le persone, che nel passato hanno costruito la nostra comunità, all'oblio. Sono le nostre radici, che sono nel passato, anche se la nostra vita è nel presente e tende al futuro. E allora ognuno di noi, ognuno di coloro che l'hanno conosciuto, chi più, chi meno, ha sicuramente dei ricordi di don Michele che custodisce nel cuore. Noi sappiamo che il Signore gli avrà sicuramente dato la ricompensa del suo lavoro e del suo ministero, non sempre facile in mezzo a noi, della sua capacità di vivere di dolore in quell'atmosfera di silenzio, di pudore, che lo contraddistingueva. E di queste virtù, appunto, siamo invitati a fare tesoro, a guardare queste virtù di imitatore di Cristo, per essere anche noi suoi imitatori. Don Sergio Meligrana |
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Il cuore e la mente di Don Michele Accogliendo il suggerimento rivoltomi di aggiungere a quella delle altre persone anche una mia breve testimonianza, vorrei prima di tutto rilevare che Don Michele Loiacono, L'arciprete, come nella Calabria usavamo chiamare i parroci, ha segnato in profondità la vita di quanti l'abbiamo conosciuto, oltre che la stessa storia di questo nostro paese. A questa storia dovremmo tenere molto, perchè essa fa parte della nostra identità. Il nostro paese vanta tanti testimoni di una santità che nasce nel popolo di Dio. E vorrei dire che si tratta di santità vera proveniente da lontano, da quando nelle nostre contrade sorse il monastero di S. Arcangelo. Il desiderio della santità nell'Ottocento fu favorito dal servo di Dio Padre Vito Michele Di Netta, il quale riuniva gruppi di persone che, rimanendo nelle loro case, si dedicavano alle pratiche della perfezione cristiana. Don Michele Loiacono, compagno discepolo di Don Mottola, e successore del fiero e zelante parroco don Francesco Ruffa, raccolse e arricchì la tradizione cristiana di questa nostra parrocchia. Mi voglio riferire prima di tutto all'A.C. che di già fondata dal ricordato parroco Don Ruffa, divenne con Don Michele una vera scuola di vita cristiana, tanto da imporsi all'attenzione dei dirigenti nazionali della Gioventù Italiana di A.C., uno dei quali, l'Assistente Don Giuseppe La Nave, divenuto poi Vescovo di Andria, l'onorò di una sua visita. Don Michele condivise col popolo disagi e povertà. La sua prima abitazione era formata da appena due anguste stanzette o più propriamente bugigattoli, che servivano per lui e per la sua mamma "Minicuzza". Nella sua missione di parroco, in vari paesi della Diocesi, egli non rimase privo di amarezze. Fu un prete non solo povero e mite, ma anche desideroso di approfondimenti culturali. Vorrei a tal proposito ricordare che durante gli anni centrali della guerra, quando gli stessi Seminari furono chiusi per il pericolo dei bombardamenti, insieme studiavamo argomenti particolari di filosofia e teologia morale ascetico-mistica sui testi latini di S. Tommaso. Erano i terribili primi anni Quaranta, nei quali durante i bombardamenti aerei era colpita la stessa cattedrale di Reggio Calabria e l'Arcivescovo Mons. Montalbetti in un'incursione rimaneva decapitato nel territorio della sua Diocesi. Don Michele riscopriva allora nel trattato di S. Tommaso sulle virtù la dottrina solo in seguito al Concilio Vaticano II diventava di dominio comune, che anche i semplici fedeli coniugati possono acquistare la parte spirituale o formale della verginità a cui si votano in senso pieno, sacerdoti e consacrati. Don Michele si teneva aggiornato anche sulla dottrina di S. Tommaso riguardante lo Stato e la società. Egli infatti, caso sorprendente dalle nostri parti, era abbonato alla rivista "Principi" di Giorgio La Pira, il "Sindaco Santo" di Firenze, Docente di Diritto Romano all'Università fiorentina. Don Michele mi faceva notare che La Pira in questa rivista metteva in evidenza dottrine sociali che contrastavano con quelle del regime fascista, tanto che in seguito il prefetto di Firenze ne soppresse la pubblicazione. Non posso dimenticare con quanto zelo assisteva i moribondi e con quale gioia una volta mi disse che una donna da lui assistita nella sua agonia riconciliatasi col Signore, aveva fatto una morte da santa. Ricorrevano a lui per la confessione persone di ogni condizione: tra di esse notavamo un maresciallo dei Carabinieri della stazione di Tropea il quale, a tale scopo, si portava settimanalmente nella sua abitazione. Ad assoluzione impartita, si aveva la sensazione di essere diventati più leggeri e più liberi. La sua memoria ci assista tutti e ci incoraggi perchè sotto la guida di Don Giuseppe Furchì, chiamato dalla provvidenza a succedergli possiamo rispondere meglio alla vocazione cristiana ricevuta col battesimo. Giuseppe Lo Cane |
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Don Michele uomo di preghiera eucaristica Ricordo la figura di Don Michele come una presenza fondamentale, durante la mia adolescenza, da quando, come chierichetto, frequentavo la parrocchia di Gasponi, in Seminario come Padre Spirituale, e poi , ormai adulto, continuavo a partecipare alle funzioni religiose. Riflettendo su quello che è stata la sua immagine, che mi è rimasta più impressa, mi viene in mente la frase del Manzoni, che lui amava ripetere sempre: "L'uomo non è mai tanto grande come quando sta in ginocchio davanti alla Maestà di Dio". E Don Michele, davanti alla Maestà di Dio, in ginocchio, ha trascorso tutta la sua vita. Non mi riferisco soltanto alla preghiera, aspetto essenziale, ma non assoluto della sua personalità, bensì a tutte quelle volte in cui egli, come sacerdote e come uomo, si è inginocchiato umilmente al servizio di chiunque ne avesse bisogno, che in quel momento, ai suoi occhi, rappresentava l'Onnipresente Maestà di Dio. C'e un'altra frase che mi viene in mente, è questa volta appartiene proprio al caro Don Michele: "La purezza che per mezzo dell'Eucaristia rende il corpo verginale e facilità al cristiano la santificazione e l'acquisto dell'eterna gioia". Era la purezza un concetto fondamentale del nostro sacerdote, che sempre ha tenuto ad educare i fedeli pregare con umiltà, fiducia, perseveranza,sincerità ed evitare sempre ogni falsità, come egli stesso ha sempre fatto. Giancarlo Di Bella |
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