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La Terra di Filomena Libro
Domenica 06.11.2011 - Brattirò di Drapia Presentazione del romanzo di P.le De Luca " La Terra di Filomena " Pasquale De Luca è nato a Tropea VV. Orfano di padre, a causa di un grave incidente ferroviario, dopo il diploma di maturità classica, ha conseguito all’Università di Messina la laurea in Lettere Moderne discutendo la tesi “Problemi Sociali e rivolte contadine a Tropea nei secc. XVII e XVIII”. E’ stato insegnante di materie letterarie in diverse scuole medie calabresi da 1979 al 20007. Socio di diverse organizzazioni culturali, è fondatore, organizzatore e presidente del Premio Internazionale di Poesia “Tropea: Onde Mediterranee”. Collabora a giornali e riviste a diffusione nazionale; e poeta apprezzato dal pubblico e dalla critica (è stato definito “il poeta contadino” e “poeta dell’anima e della natura”). Dal 2009 è direttore della collana II della Meligrana Editore di Tropea. Alcune sue opere, di narrativa e di poesia, sono state pubblicate in riviste letterarie e antologie poetiche. Ha pubblicato: Tristi le ore poesie, Carello Editore, Catanzaro, 1994; Fantasie poetiche - Un pensiero d’amore x amore... poesie, Meligrana, Tropea, 2007; Io non capisco - poesie Meligrana, Tropea,2007 Immagini della manifestazione culturale |
Il salone ex scuola media di Brattirò - oggi sede dell’ "Associazione Enotria" |
Il tavolo dei relatori: da sx, Giuseppe Meligrana editore del libro, Silvana Dell’Ordine pittrice, Domenico Aiello presentatore e moderatore, Pasquale De Luca (autore del libro), Elisabetta Rombolà docente di materie letterarie, Pasquale Costa Presidente dell’”Associazione Enotria”, Avv. Antonio Furchi pres. Proloco comune di Drapia. |
Il saluto del Vice Sindaco di Drapia Prof. Cosmo Vallone |
La testimonianza di Onofrio Rizzo (classe 1929), del bombardamento su Tropea del 5 Agosto 1943, da cui trova spunto il romanzo del prof. Pasquale De Luca. |
L’intervento dell’editore Giuseppe Meligrana |
L’intervento dell’ avvocato e pittrice Silvana Dell’Ordine. L’esposizione dei suoi quadri hanno fatto da cornice alla sala. |
Un intervento del moderatore Domenico Aiello. |
Gli interventi del presidente della Proloco Antonio Furchì e Pasquale Costa, presidente della -"Associazione Enotria" |
L’ampia relazione della docente Elisabetta Rombolà che in modo armonioso e gradevole ha tratteggiato le varie tematiche presenti nel romanzo: il momento storico e sociale in cui è ambientato, la fisionomia dei vari personaggi, lo stile, gli appropriati inserimenti di termini e frasi dialettali, l’aspetto religioso con la devozione alla Madonna della Romania, il periodo letterario in cui viene collocata l’opera (post-neorealismo), le riflessioni, l’amore per la terra. |
IN ALLEGATO LA RELAZIONE SU: "LA TERRA DI FILOMENA" ROMANZO DEL PROF. PASQUALE DE LUCA Il romanzo, che mi accingo a presentare, già è stato illustrato in altre sedi a Tropea: nel mese di luglio, presso la Biblioteca Comunale; presso il teatro del porto, in occasione del “Premio nazionale di narrativa”; a settembre a Parghelia. Esso s’intitola “La terra di Filomena”, di cui è autore il prof. De Luca Pasquale, molto conosciuto nella nostra zona e altrove, in quanto promotore del Premio Internazionale di Poesia “Tropea: Onde Mediterranee”, giunto ormai alla nona edizione, e lui stesso “poeta dell’anima e della natura” o “poeta contadino” (come è stato definito); ne è editore il dott. Meligrana Giuseppe, anche lui noto come giovane e audace imprenditore nel nostro ambiente e oltre. Prima d’iniziare la presentazione del suddetto libro, è doveroso soffermarmi brevemente sullo scrittore e sulla sua attività letteraria. L’amico Pasquale De Luca nasce e vive a Tropea, si diploma presso il Liceo Classico e poi si laurea in Lettere Moderne all’Università Statale di Messina. Insegna materie letterarie in diverse scuole medie, ultima quella di Rombiolo, fino al pensionamento, avvenuto nel 2007. Collabora con riviste e giornali, anche a livello nazionale, dove pubblica alcuni racconti. Sue poesie si trovano in alcune antologie e in sue raccolte personali, pubblicate: “Tristi le ore – poesie” - Carello Editore, Catanzaro 1994; “Fantasie poetiche – un pensiero d’amore X amore - poesie” - Meligrana, Tropea 2007; “Io non capisco” - Meligrana, Tropea 2007. Attualmente dirige la collana π (p greca) della Meligrana Editore di Tropea. Viene sempre apprezzato dalla critica di livello e dai lettori. La morte del padre in un tragico incidente ferroviario è un evento traumatico, che segna profondamente la vita del nostro autore. Questa perdita è evocata nel libro, anche se trasfigurata, sia nell’episodio del grave incidente ferroviario capitato al padre di Filomena, che riesce a salvarsi, in quella circostanza, ma che perde la vita, in seguito, a causa dei bombardamenti americani su “Terra di Sopra”, la notte del 5 agosto 1943 (secondo il testo di Pasquale; la sera di quel giorno, secondo il racconto del testimone superstite, Onofrio Rizzo) e sia nelle pagine relative alla morte di Ciccillo, l’amato marito della donna, sempre per un drammatico incidente ferroviario. “Il treno è passato sempre nella vita di Filomena” – scrive il nostro scrittore. “La terra di Filomena” è il primo romanzo di Pasquale De Luca. Punto 1°. Per quanto riguarda l’aspetto letterario, l’opera si può inserire nella scia del Neorealismo, o meglio, del post- Neorealismo, per così dire, e Pasquale può essere considerato una specie di suo successore. Punto 2°. Nello stesso tempo, essa appartiene al sottogenere del “romanzo storico”, perché ha un’ambientazione storica, anche se la storia, a volte, volutamente, viene deformata dalla inesauribile fantasia del narratore, così come viene trasformata la vita politica, tanto da sembrare, entrambe, non del tutto vere, ma verisimili. Per esempio, le elezioni nazionali per il referendum sulla scelta della forma dello Stato, coincidono con quelle amministrative locali, a Tropea, per l’elezione del sindaco, mentre nella realtà sono avvenute in un periodo diverso, posteriore. Punto 3°. Dal punto di vista storico-socio-politico ed economico, osservo come nel libro la “microstoria”, cioè la “storia locale” di Tropea e del suo hinterland, viene collocata sapientemente nel più ampio contesto della “macrostoria”, cioè della “grande storia”, nazionale e internazionale, con un’ambientazione ben definita: nel periodo del secondo conflitto mondiale, delle dittature (fascismo e nazismo) e del problematico secondo dopoguerra, nell’età della ricostruzione. Nel romanzo si racconta come questi bui e difficili anni sono vissuti in una piccola città di provincia del Sud, come Tropea, e nel suo comprensorio. Sono anni di trasformazioni epocali: politiche, economiche e sociali. La storia narrata è una storia di duro lavoro, di sacrificio, di lotta per l’esistenza, di dolore, ma anche di grande coraggio, di speranza, d’amicizia e d’amore. È una storia umana, personale, ma pure “corale”, che vede la partecipazione alla vita cittadina di una vasta gamma di personaggi, sull’esempio dei grandi romanzi veristi di G. Verga: “I Malavoglia” e “Mastro Don Gesualdo”. La dimensione corale è data anche dal coinvolgimento nella vita agreste degli animali e delle piante, che vivono a contatto con la terra. Il libro è avvincente e coinvolgente, tanto da spingere il lettore a leggerlo nel più breve tempo possibile. Punto 4°. Per quel che concerne il sistema dei personaggi, in esso sono presenti figure femminili e maschili. Come dice il titolo dell’opera, protagoniste femminili assolute sono: la “Terra di Sopra” e Filomena. La ragazza ama il suo campo come una creatura e lo cura con un lavoro pesante, senza tregua, zappando, tracciando solchi, piantando, annaffiando, togliendo erbacce e raccogliendo i frutti, che la terra offre generosa, dopo essere stata oltraggiata dalla violenza bellica. In questa continua fatica viene aiutata dal suo innamorato Ciccillo, da “‘a muta ‘a Lena” e da altri vicini. “Il mito” della terra e del tenace lavoro danno un alone di epopea eroica alla storia e mi fanno ricordare un’altra terra famosa nella letteratura e nel cinema americani contemporanei, “Tara” di Rossella “O Hara” nel famoso libro “Via col vento” di Margareth Mitchelle, e nell’ancor più celebre film, da esso tratto. Filomena stessa richiama alla mia mente Rossella. Infatti, le due donne, anche se profondamente diverse, in realtà sono eguali nell’attaccamento fortissimo alla propria terra e per essa sono pronte a qualsiasi cosa: combattere, lavorare da mattina a sera, soffrire, patire la fame, e… persino, uccidere. Filomena, in un impeto d’ira, mette alle strette lo zio Gioacchino, tagliando di netto con la scure la pergola “di ‘i minni ‘i vacca” (dalla caratteristica e saporita uva bianca), piantata da suo padre e rubata dallo zio, e come “’na vipera” si scaglia contro il portone della casa, dove lo zio è rinchiuso con la moglie per paura della nipote, intenzionata ad ucciderli. Quindi, la ragazza, insieme a Ciccillo, affronta don Rubino, il prete usuraio, “figlio del demonio”, che “succhia il sangue” alla gente, come riporta lo scrittore, spinta dal desiderio di uccidere pure lui, in un tragicomico scontro. Ma, i cattivi propositi di Filomena, in entrambi i casi, vengono fermati dal portentoso intervento della Madonna di Romania. Così, vedo come la dolce e sensibile ragazza, secondo le circostanze, sa mostrarsi anche aggressiva e determinata, tanto da essere temuta e rispettata nella zona, specie dopo l’episodio di don Rubino. Filomena è una bella, minuta, semplice ragazza di campagna, una contadina povera, che “s’ammazza di fatica” tutto il giorno, provata nel corpo e nell’anima dai bombardamenti sulla sua terra, sulla sua casa, che feriscono le sue gambe e la sua anima. Ma ella trae forza e linfa vitale dalla terra, perché si sente in simbiosi con essa; “Filomena è la terra” – scrive, ancora, Pasquale – ed è la terra stessa che le infonde coraggio, che la sprona a lottare per la rinascita del suo campo, dopo l’esperienza tragica della guerra. Battagliera nata, anche se alla fine riesce a far rivivere la sua campagna, sarà sconfitta dal destino, a causa della morte improvvisa e prematura del suo amato marito Ciccillo, per un fatale incidente ferroviario, come già riportato. Ora, mi voglio soffermare su come l’autore vede “Terra di Sopra” nel suo primo romanzo. Il mio amico rappresenta questo campo nel pulsare della sua vita campestre, nel ciclico avvicendarsi delle stagioni: nell’esplosione della bellezza della multicolore primavera mediterranea, nella ricchezza della frutta estiva, nei raccolti autunnali, abbondanti di ortaggi e verdure, e, infine, nel riposo invernale, dopo i raccolti di Natale, di: “broccoli, cavolfiori, cavuli ‘i truzzu, e cavuli ‘i verza”. Di questa terra Pasquale riporta: voci, colori, rumori. Sullo sfondo la visione dell’azzurro mare di Tropea completa lo stupendo affresco. Egli si sofferma a cogliere altri scorci della “Costa degli Dei”, come Parghelia e “’a Punti ‘i Zambroni”. Parte integrante della campagna sono gli animali, molto amati da Filomena: l’agnellino “Carrabba”, il maialino nero “Gru-Gru”, la mucca “Brunina”; quindi, i vitelli, i galli, le galline, gli uccelli, ecc. ecc. ecc. Infine, “Terra di Sopra” partecipa delle sensazioni e dei sentimenti di chi vive in essa, in una specie di “panteismo” classico (dal greco, significa che la natura è animata, ha un’anima nascosta). Pasquale, fine e sensibile conoscitore dell’animo umano, ne modula tutte le sfumature. Tra le altre figure femminili, prima tra tutte, emerge la Madonna di Romania, protettrice di Tropea, col suo apparire in un alone di luce, come un “deus ex machina” (“il marchingegno” usato dal poeta greco Euripide nelle sue tragedie, che scende dall’alto) o facendosi sentire con la sola voce, per risolvere nel migliore dei modi alcuni casi complessi, che sembrano non avere sbocchi. La Madonna è presente, già, all’inizio del racconto, quando vengono sganciate su “Terra di Sopra” , nelle zone “Gurnea” e “Michelizia”, le tredici bombe americane, che colpiscono l’albero dell’arancio, su cui si trovano il padre di Filomena e il nipote Micareu, il cugino di Filomena, che perdono la vita la tragica sera del 5 agosto del 1943, come già ricordato. È allora che il buio della notte viene illuminato da una donna piena di luce, appunto la Madonna, che prende per mano Filomena, ferita dalle schegge delle bombe alle gambe, per portarla in salvo e che, dopo un po’ di cammino insieme, scompare. Il manto della Vergine protegge sempre Tropea nelle varie calamità, verificatesi nei secoli in Calabria: nelle epidemie di peste, nei terremoti e nelle guerre, Tropea non ha avuto morti in città. È la voce della Madonna di Romania a far desistere Filomena dal colpire con l’accetta lo zio Gioacchino con la moglie e a tentare di uccidere don Rubino. Ancora, è la luce particolare dell’icona della Madonna e il merito del vescovo di Tropea, Sisto Emiliano Capua di Nola, se Filomena riesce a perdonare il pilota americano dell’Oregon, che ha lanciato sulla sua terra le bombe, assassine di suo padre, di suo cugino e che hanno ferito le sue gambe. Infine, è sempre la Madonna, che salva la terra, la casa e Filomena, uscita viva dal fuoco per miracolo, quando scoppia il pauroso incendio, dietro la “casea” della contadina Rosaria, verso la fine del romanzo. Un’altra figura femminile di primo piano è quella della sindachessa di Tropea, Lydia Maria Stefania del Sannio duchessa di Montecelato d’Irpinia, che, all’inizio, un po’ sfocata e vaga nella rappresentazione, “una donna con lo scialle rosso sulla testa e la sciarpa bianca al collo” – scrive il nostro amico – via via, va acquistando maggiore rilievo, tanto da sembrare scolpita a “tutto tondo”. Figlia primogenita del duca Corrado, donna intelligente, originale e anticonformista, colta e plurilaureata, è aperta al nuovo, di idee repubblicane e di fede mazziniana. Frequenta le migliori Accademie culturali d’Italia, politicamente si mostra favorevole al popolo, alla democrazia, alla libertà. Riesce a vincere l’avversario politico, nella figura del conte Riccardo del Ponte, conservatore, favorevole alla nobiltà, alla monarchia e alla guerra, nelle elezioni amministrative per la scelta del sindaco a Tropea, di cui ho già detto. Queste elezioni sono state le prime a suffragio universale, con la partecipazione delle donne al voto. Dopo la vittoria, dovuta al programma d’innovazione e al suo memorabile discorso nel dibattito politico finale, la duchessa diventa sindaco di Tropea, primo sindaco donna e uno dei più giovani d’Italia, sempre secondo lo scrittore. La sindachessa rimane in carica fino al 1960, operando molto nel sociale e cercando di garantire a tutti: lavoro, abitazione e istruzione. Potenzia la scuola elementare, apre asili e istituisce la Scuola Media – Ginnasio, come all’epoca viene chiamata. Riesce a guadagnarsi l’affetto del popolo, che, alla morte, la piange sinceramente, accorrendo numeroso al suo funerale. Con la sindachessa di Tropea il nostro Pasquale ci regala una figura veramente esistita, attendibile storicamente, anche se trasfigurata dalla sua fantasia. Un altro personaggio femminile, realmente esistito, è “’a muta ‘a Lena”, l’amica di Filomena, che viene ben caratterizzata. Donna giovane, giunonica, alta, che non ha l’uso della parola, senza il marito e con un figlio, è una lavandaia, che aiuta sempre Filomena nei lavori campestri, come già affermato. Le due amiche si recano spesso nei paesi vicini a Tropea, a piedi, per viottoli, a fare “’u cangiu”, ossia il “baratto” delle saporite verdure della marina con i prodotti dell’entroterra, come: olio, fagioli, ceci, salumi, formaggi, ecc. ecc. Insieme ai “Carminoti”, Filomena e “’a muta ‘a Lena” vanno a piedi, attraverso scorciatoie, per la festa di “Santu Cocimu”, in settembre, a Brattirò, per onorare e ringraziare il Santo per aver guarito Filomena dalle ferite alle gambe. Nel romanzo ci sono altre figure femminili ben definite, ma che citerò brevemente per non allungare eccessivamente il discorso e per non annoiarvi. Tra queste: “Micuccia”, la fornaia, che si fa scrivere una lettera, in dialetto, dall’amica Filomena per “Cicciu”, il fidanzato segreto, militare a Modena; la signora Cutumbula, moglie del farmacista, ossessionata dalla magrezza, che presta il suo abito da sposa a Filomena per le nozze con Ciccillo; la signorina Adelina, “’a mammina”, cioè l’ostetrica, alta, bionda, bella e proveniente dal Nord, che aiuta Filomena a partorire la sua prima bambina, Maria Lucia. Accanto a questo universo femminile, formato, a mio avviso, da figure molto incisive e di grande spessore, che rimarranno impresse nella nostra memoria, c’è una coralità di personaggi maschili, che emergono via via dalla narrazione e che, ugualmente, difficilmente si potranno dimenticare. Il più importante, senza dubbio, è Ciccillo, il coprotagonista, l’innamorato timido e riservato, poi marito devoto e premuroso di Filomena. Ciccillo è un bravo ragazzo, semplice, sincero, gran lavoratore, che dà sempre una mano alla sua ragazza nei lavori agricoli, come altrove detto. L’amore tra i due nasce piano piano, consolidandosi sempre più. Il nostro autore ce lo descrive in modo magistrale, dimostrandosi, ancora una volta, conoscitore dei sentimenti umani. Egli, dell’amore tra i due, svela tutte le sfumature, seguendone l’evoluzione dalla nascita, in sordina, fino alla fine prematura e improvvisa di lui, a causa di un grave incidente ferroviario, come già riferito. Questo sentimento si manifesta, prima, con pudore, reticenza, amicizia, stima e ammirazione l’uno per l’altra, aiuto incondizionato di lui nel campo di lei e dopo, con serate passate insieme, accanto al fuoco nella casa di Filomena a parlare, fino… alla scoperta dell’amore fisico per entrambi. Poi, questo amore, santificato dal matrimonio, diventando fusione completa di anima e corpo, viene sempre più cementato dalla condivisione di una scelta di vita, basata sulla concezione del lavoro come dovere primario, specie nel periodo di una guerra disastrosa e di un ancora più difficile dopoguerra, negli anni della ricostruzione, come altrove riportato. Anche dopo il matrimonio continuano le particolari attenzioni del marito verso la moglie. Ciccillo offre a Filomena sempre un dono: un bocciolo di rosa, un frutto o una bambola. La descrizione iniziale di questo legame, fatto d’intense emozioni e di profonde sensazioni, ricorda l’atmosfera malinconica di un altro, delicato e pudico sentimento finito male, quello di compare Alfio e Mena, nel già citato romanzo di Verga: “I Malavoglia”. Personaggio fondamentale è anche il padre di Filomena, “’u zzu Pascali”, “’u Tata”, il quale, anche se deceduto, è sempre vivo nel ricordo della figlia, a lui più somigliante e, per questo, “sua pupilla”, che egli vuole “istruita ed educata” (infatti, vince il premio dell’impero per la lingua e il diploma del fascio per il miglior tema sulla storia romana), di cui le altre due sorelle sono invidiose, che il genitore porta sempre con sé al mercato la domenica e la sera ascolta le canzoni, cantate da lei, seduta sulle sue gambe. Una macchietta umoristica appare la figura di don Rubino, che si arricchisce con denaro sporco, sottratto alla gente bisognosa, la quale ricorre a lui per prestiti, che poi non riesce a pagare a causa degli alti tassi d’interessi, pretesi dal religioso. Don Rubino coltiva aspirazioni puramente materiali, accumulare tanti beni per i suoi familiari: fratelli, sorelle, nipoti. La fantasia di Pasquale De Luca con don Rubino ha creato una figura veramente “azzeccata”. Tra gli altri personaggi maschili, non riesco a dimenticare il colonnello dei carabinieri in pensione, Leone Tagliaferro, uomo intransigente e rispettoso delle regole, che combatte la criminalità e non ha paura di nessuno. Con una vita infelice, in quanto vedovo di una giovane moglie e con quattro figli, cattura il brigante Peppe Mindolo, che, in realtà, è un povero e sventurato ragazzo, orfano e senza lavoro fisso, bistrattato dalla vita. Entrambi sono uomini “d’anuri”, che muoiono suicidi Ancora, non posso tralasciare di menzionare un’altra grande figura, il sacerdote don Carmine Ortese (veramente il suo cognome è Cortese, ma il nostro narratore preferisce scriverlo senza la “C” per puro vezzo letterario). Questo degno sacerdote non è nuovo nel panorama narrativo letterario locale, basti pensare allo scrupoloso lavoro su di lui di un altro mio caro amico, il prof. Pugliese Antonio, preside in pensione, che ha già pubblicato, e presentato, il libro: “Diari di guerra” dell’amato uomo di chiesa. Don Carmine è il prete soldato, che combatte al fronte e che viene internato in un campo di concentramento tedesco. Egli, più di ogni altro, ha patito il dramma della guerra, di cui nella sua opera denuncia la crudeltà e la sofferenza, sopportate dai combattenti. Nelle sue omelie predica sempre: la concordia, la tolleranza, il perdono e l’amore, per cui è amato dai fedeli, che lo ascoltano con attenzione e con grande affetto. Tra gli altri, diversi e pur sempre interessanti personaggi maschili, nell’ambito della narrazione, mi soffermerò fugacemente su qualcuno, sempre per il tempo a disposizione e per non stancare la vostra attenzione. Citerò: don Bernardo Donelli, il ricco mercante emiliano, stabilitosi con la famiglia a Tropea e che lavora con le “bagnarote” nelle campagne della cittadina, tra le quali quella di Filomena; “mastru Pascali Cannali”, il miglior muratore della zona, bravissimo ad aggiustare i buchi nelle tegole delle case, che ha un particolare segreto per assicurarsi sempre il lavoro; Angelo Lanza, “’u ciucciaru”, che ha perso una gamba, combattendo in Grecia, e che racconta a tutti la sua triste storia, anche a Filomena, la quale rievoca pure la sua; don Fefè, “’u giornalista” amico e portavoce della sindachessa; Matteo “’u vandiaturi d’u pisci” e di “‘i ‘gnuri”, che parteggia per l’avversario politico della donna; “’u zzu Virgoli”, “’u smatraturi” dei maiali, che opera il maialino nero di Filomena nelle parti intime e, infine, il furbo Peppi La Vina, il ladro dell’acqua nella terra della donna, che anima una “gustosa”, simpatica scena. In ultima analisi, sono onnipresenti alle cerimonie e alle varie manifestazioni le autorità, religiose, civili e militari: i vescovi, i prelati, i preti, i canonici, il podestà, i carabinieri, il capitano dei soldati, Negroponte e il già colonnello dei carabinieri, Tagliaferro, il federale Manuele, gli ultimi dei quali sempre pronti a risolvere casi controversi. Punto 5°. Passando all’aspetto folkloristico, noto nel libro alcune pagine, dedicate alla descrizione di feste religiose o di eventi particolari, dove spesso il sacro si mescola al profano, e la fede, pur sentita e sincera, si unisce a credenze popolari, ai limiti della superstizione. Tra le feste religiose, la più sentita è quella della Madonna di Romania, che presenta un caratteristico rituale e una colorita scenografia, consolidati negli anni; poi, quella della Madonna del Carmine e quella della Vergine di Portosalvo, considerate “le tre sorelle” dai fedeli. Un evento folkloristico viene offerto dal matrimonio di Filomena e Ciccillo, con le campane che suonano a festa, il tenore che canta con voce robusta, il colonnello Tagliaferro, che accompagna la sposa all’altare, perché orfana di padre, e che, dopo, spara con la pistola, in alto, in onore degli sposi. Quindi, la scena si sposta a “Terra di Sopra” per il banchetto sull’aia, dove due tavole apparecchiate aspettano gli invitati. La festa è semplice e povera, ma allegra. Finito il pranzo nuziale, tutti ballano e cantano felici, al suono di una fisarmonica, fino al sorgere della luna. Ancora il folklore è presente nell’evento che vede il Duce passare in treno da Tropea (avvenimento storico), dove si radunano tutti in camicia nera, il podestà avanti, seguito dalla banda di “mastru Nuzzu” (caratteristico personaggio del periodo), da Manuele, il federale, dagli scolari vestiti da Balilla e da Filomena, vestita da “figlia della lupa”. Sempre bene in vista è la simbologia fascista: libro, moschetto, gagliardetto e fez, mentre nell’aria echeggiano i versi di : “Giovinezza, giovinezza”, la canzone emblema del fascismo. Inoltre, è folkloristica la scena della raccolta delle patate novelle nella campagna di Filomena da parte delle donne di Bagnara, “rotte al lavoro e alla fatica”, che sfoggiano caratteristici costumi, al comando di uno sbraitante commerciante Donelli, su cui ho già detto. Infine, è folkloristica la descrizione della fiera dell’Annunziata, ripresa dopo quattro anni d’interruzione per la guerra, piena di gente e di animali. Punto 6°. Nel romanzo non manca neppure l’aspetto umoristico, che traspare da diversi episodi, tra cui: quello degli zii, tappati in casa per non essere vittime della nipote adirata; quello di don Rubino che, allo stesso modo, ha paura di un’insolita, molto determinata Filomena; quello di Peppi La Vina, dove pure la seria e riservata ragazza scoppia a ridere e, infine, quello delle “Orbareiji”, le quattro cattive sorelle, con cui Filomena e “’a muta a Lena” si azzuffano e si prendono per i capelli, per aver rubato, le quattro donne, i salumi, ricavati dal maialino nero della protagonista del romanzo. Punto 7°. Riguardo all’aspetto formale, prima di tutto, nel libro mi sembra interessante l’espediente d’inserire, all’inizio e alla fine del racconto, la figura della madre dello scrittore: è lei che ricorda la storia narrata, sempre in forma romanzata, in una specie di “flashback”, cioè un ritorno indietro, nel passato. Dal punto di vista prettamente linguistico, fermo restando che si tratta di un buon lavoro, nell’opera colpisce l’ottima padronanza della lingua italiana da parte dello scrittore, accanto all’altrettanto ottima conoscenza del dialetto tropeano. Pertanto, il mio amico Pasquale, vicino a parole e frasi o periodi in italiano, spesso colloca accanto: motti, proverbi e modi di dire, sempre in gergo dialettale. Mirabile risulta l’uso di queste espressioni linguistiche. Per quel che concerne la struttura espressiva, a mio parere, il romanzo è post-moderno ed evidenzia uno stile personale, proprio dello scrittore. In particolare, mi colpisce l’uso di un discorso, puntellato da diverse frasi brevi, concise, martellanti, a volte spezzate, con puntini sospensivi, punti esclamativi e interrogativi, specie nei dialoghi, nelle scene concitate e drammatiche (come, ancora una volta, quella degli zii, quella di don Rubino o, infine, quelle delle morti del padre e di Ciccillo). Le suddette frasi concludono gli episodi citati e, nel contempo, esprimono l’emozione, che gli eventi stessi suscitano nello scrittore, inducendolo a una profonda meditazione. In ciò, Pasquale De Luca si rivela veramente scrittore contemporaneo. Inoltre, constato come nel libro viene adoperata la tecnica espressiva del “discorso indiretto libero”, per cui i personaggi parlano così come pensano. Questa tecnica ha grandi modelli in letteratura, quali Flaubert e G. Verga, nei loro rispettivi, celeberrimi, romanzi: “Madame Bovary” del primo; “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo” del secondo. Inoltre, nel testo di Pasquale sono presenti diverse frasi nominali, cioè senza verbo. Ancora, dimostra come egli provenga dal mondo della poesia, l’uso di figure retoriche, proprie del testo poetico, quali: una specie di “anafora”, cioè la ripetizione di una o più parole o d’intere frasi, a breve o brevissima distanza; il “climax”, di tipo “ascendente”, per esprimere un crescendo di sensazioni o di fenomeni; e “l’onomatopea”, molto usata da Giovanni Pascoli, specie nella sua raccolta “Myricae”, che riproduce le voci della natura o il linguaggio degli animali o il rumore di determinati oggetti. Così, la narrazione riporta: il suono delle campane del duomo di Tropea: Dooonnn! Dooonnn!; il grugnito del maialino nero “Gru-Gru”: Gruuummm! Gruuummm!; il muggito della mucca Brunina: Muuummm! Muuummm!; il rumore del treno: Puuummm! Puuummm! Punto 8°. Concludo, ora il mio intervento, invitando tutti voi, qui presenti, a leggere il primo romanzo del mio caro amico, prof. De Luca Pasquale, perché, certamente, non rimarrete delusi. Mi rivolgo, specialmente, ai giovani, con l’augurio che si abituino alla buona lettura, per arricchirsi, interiormente, migliorare e scoprire quei valori basilari, che, oggi, nell’era della globalizzazione e dell’avanzatissima tecnologia, sembrano decaduti. Si tratta dei valori veri, non di quelli falsi, che la società consumistica ed omologata propone ogni giorno ai ragazzi. I valori, cui mi riferisco, sono quelli legati alla scoperta della campagna, delle proprie radici, degli affetti semplici e sinceri, che durano nella vita; dei sentimenti più profondi, come: l’amicizia, la solidarietà, il senso di appartenenza, la tolleranza, l’amore e il perdono. Ringrazio tutti di avermi ascoltata con attenzione e di essere, stasera, qui per omaggiare il nostro scrittore, l’amico Pasquale De Luca. Buona lettura, a tutti! Elisabetta Rombolà (Bettina)
Il saluto e i ringraziamenti del prof. Pasquale De Luca
Pasquale De Luca nella firma del testo della sua opera Francesco Fiamingo Recensione sul Romanzo di Pasquale De Luca della poetessa scrittrice Stefania Tinessa Sono pagine bellissime, a tratti struggenti, in grado di suscitare nel lettore intenso coinvolgimento emotivo, dense di grande sensibilità narrativa, quelle che Pasquale De Luca scrive nel romanzo <La terra di Filomena>. L’Autore, - attraverso la storia di una giovane donna di terra calabrese, figlia di un’epoca storica di grandi cambiamenti sul piano politico, economico e culturale, di lotte e sacrifici, rinunce e conquiste, duro lavoro e sofferenze, lutti e privazioni-, narra le vicende alterne di una intera generazione di italiani che, nelle vicissitudini dolorose della seconda guerra mondiale e del periodo immediatamente successivo, hanno visto compiere e realizzarsi un segmento decisivo del loro umano divenire. Pasquale De Luca ci narra, con fantasia e in libertà, con stile chiaro ed efficace sul piano delle descrizioni dei personaggi del romanzo e dei contesti storici ed ambientali in cui essi sono calati e interagiscono, una bella storia, di forza e coraggio, in cui tutto è stato trasformato e modificato, ma pur sempre ancorato ai canoni genuini e autentici del quotidiano,con il suo portato di sacrificio e lavoro, dolore e amore. La figura femminile di Filomena occupa la centralità della narrazione, tratteggiata dall’Autore con delicatezza e attenzione, tenerezza e ammirazione per la sua determinazione e il coraggio delle prove più dure, ritratta con rara sensibilità artistica, che emerge soprattutto dalle descrizioni dei momenti più intimi della sua storia di donna, moglie e madre. Pasquale De Luca sa cogliere, con precisione e grande capacità di introspezione, le tante sfumature dell’animo femminile, nei suoi momenti di lavoro e sacrificio, passione politica e amorosa, amarezza e pianto, gioia e dolore, sogno e speranza. Tutto ciò avvolge e coinvolge l’animo di Filomena e delle altre figure femminili protagoniste del romanzo, A’Muta a’ Lena, la Duchessa, massara Minicuzza, la signora Cutumbula, Micuccia, Rosaria. Un romanzo soprattutto di donne, un omaggio al loro coraggio di madri, mogli e lavoratrici, per le donne e per quanti, attraverso una migliore conoscenza e comprensione dell’animo femminile e delle sue tante sfumature, possono arrivare a conoscere se stessi in maniera più profonda. Il dolore lacerante di Filomena per la tragica fine del padre, ucciso dalla scheggia assassina di una bomba americana, ma anche l’amore per la sua Terra di Sopra, “tra un passato pieno di sogni e di allegria e un futuro incerto e sconosciuto” e il perdono sgorgato dal suo cuore in un pianto di lacrime. Sono tutti momenti della sua vita di donna combattiva, pagine bellissime di un romanzo intriso di realismo e sogno, permeato di una fede profonda e di tenace speranza in un futuro migliore, di tenerezza e amore, dopo un presente di sofferenza e dolore. Filomena, ragazza coraggiosa dei primi capitoli del libro, si trasforma, attraverso la narrazione fluida, amorevole e attenta dell’Autore, in donna determinata, autorevole artefice del suo ruolo di moglie e madre. E, se il dolore per Filomena assume le sembianze rarefatte del padre scomparso, - ‘u tata -, figura che l’accompagna in tutto il suo percorso di crescita, il coraggio, invece, si mostra nelle tante lotte per il riscatto della sua terra, mentre l’amore si materializza nella figura del giovane Ciccillo, ragazzo di sedici anni, forte, alto, potente, che <scendeva dalla montagna tutti i giorni per andare a zappare nei giardini della marina>, del quale si innamora giorno dopo giorno, osservandolo nelle sue azioni quotidiane di duro lavoro e ammirandone la generosità. L’incontro e la fusione di due miserie, due sofferenze e due povertà, per un’unica lotta: quella per la sopravvivenza, per un futuro senza miseria . Emozionanti e permeate di grande sensibilità sono le pagine del romanzo in cui si narra della scoperta dell’amore e della vita da parte dei due giovani, appena sposi, sotto l’occhio attento e premuroso di una luna discreta e sorridente, che con i suoi tremuli raggi carezza i loro corpi appassionati. L’Autore sa descrivere, con delicatezza e discrezione, il momento della loro conoscenza e della fusione dei loro corpi, che apre alla vita e ad una nuova rinascita, come quella di un intero paese e della sua gente alla fine di una guerra, quando si cerca di costruire un futuro migliore, fatto di lavoro e pace, giustizia e libertà. E, per Filomena, la vita è, dapprima, la terra, la sua terra arsa dal sole e bisognosa di acqua e d’amore; poi il suo corpo che ama e che cambia, per accogliere il frutto di questo amore, una nuova creatura da curare e proteggere. Come perla dentro la conchiglia ! Ed, infine, la luce del sole che si leva alto sul suo dolore per le perdite irrimediabili, a recar conforto e speranza, con un tenero fiore, il più bel fiore d’amore, don del Signore. Perché la vita ha preminenza sulla morte, sempre, come treno che mai si ferma e continua a recare con sé fiducia e speranza nel domani, sotto lo sguardo benevolo delle stelle splendenti e della luna silente. <La terra di Filomena> è un romanzo d’amore, scritto con amore e rara delicatezza narrativa, con una amorevole predispone dell’animo verso i valori più autentici, e le emozioni più intense. <Amore è vita e vita è poesia>, ci dice l’Autore nei suoi pregevoli e numerosi scritti che precedono il romanzo di Filomena e della sua vita; nei tanti versi di una poesia che diventa canto, canto d’amore anche quando parla di dolore, di sofferenza e di morte. Pasquale De Luca sa ascoltare il suo cuore, in silenzio e solitudine, mitigati dalla voce della natura e dai profumi della sua amata terra di Calabria, che sempre gli parla d’amore, con il suo mare e i tremuli raggi di luna, anche quando è avvolta dai rigori del rigido inverno, che per l’Autore non è mai un inverno dell’anima. <La terra di Filomena> è un romanzo che celebra i valori di vita semplici e autentici, forti e ben radicati nel cuore dei suoi protagonisti. L’amore per la terra, per i suoi frutti saporiti e colorati, le zolle feconde di sole e umana fatica; il fuoco, con la potenza del suo calore e il bagliore della sua fiamma. Ed ancora, il sentimento di solidale condivisione tra poveri, accomunati da un destino di privazione e stenti, la spontanea generosità della gente umile. Il primo raccolto, dopo una stagione di sacrifici a curar le piante e di attese per ammirarne i teneri germogli; il candore della farina e il profumo del pane fatto in casa appena sfornato. E poi, la sete di pace di un popolo ferito dalla guerra, il bisogno di ricostruire e garantire a tutti lavoro e libertà, democrazia e giustizia, rispetto delle regole e certezza delle pene. Tutto ciò l’Autore celebra nel suo romanzo, con toni lievi e appropriati, capaci di suscitare nel lettore ricordi e riflessioni, narrando della guerra e dei suoi lutti, di tensioni sociali e politiche, istanze di cambiamento e conquiste di libertà . E tanto, senza mai ferire la sensibilità del lettore, usando, invece, una sobrietà di linguaggio e di immagini che risulta efficace ed adeguata a descrivere l’evento narrato. Filomena è personaggio di grande spessore umano e dignità, donna del suo tempo, che sa coniugare in sé l’esperienza della sofferenza, con il suo valore di crescita e maturazione, e quella gioiosa dell’emozione d’amore, capace di carezzare l’anima. L’amore ispira e guida le sue azioni, di<ragazza pronta alla lotta, alla difesa, all’esistenza>, di moglie devota che sostiene il suo uomo,con sguardi di intesa, silenzi di condivisione, che allevia le sue fatiche con dolci sorrisi. Il romanzo è un omaggio alla femminilità e alla sua più intensa espressione, l’esperienza sacra e meravigliosa della maternità. La maternità di Filomena, dapprima madre premurosa e poi anche padre dei suoi due figli, nati alle prime luci del giorno e risplendenti come raggi di sole. La maternità della Madre Celeste, che protegge l’Umanità con il suo manto, e permea, con la sua costante presenza e riferimento, tutta la narrazione del romanzo di Pasquale De Luca. Una religiosità autenticamente sentita e vissuta è valore presente in tutti gli scritti dell’Autore, che porge il suo cuore con devozione alla Madonna e riafferma, con la preghiera accorata e sincera, il suo affidamento alla Vergine. La Madonna di Romania segue dall’alto e guida Filomena, che a Lei si rivolge con fede e speranza nei momenti di difficoltà, ricevendone sempre sostegno e protezione. Ed ancora, la maternità è celebrata con profondo rispetto e struggente tenerezza nelle pagine del romanzo dedicate al ricordo. Il ricordo di un racconto ripetuto tutte le sere accanto al braciere, di un lutto perenne portato nell’anima prima ancora che negli abiti, di un legame intenso e indissolubile della madre con il figlio, che si esprime ed alimenta nell’omaggio costante di lui alla memoria di lei, con un fiore e una luce, una preghiera e una immagine vivida nel cuore, la pagina di un libro e i versi di una poesia. Pasquale De Luca è poeta del sentimento d’amore più autentico e discreto, fatto di premura e riservatezza, silenzio e condivisione, rispetto e partecipazione. Lo esprime, però, con efficace capacità narrativa nelle pagine del romanzo di Filomena, i cui protagonisti principali sono sempre motivati e guidati, nel loro agire, dai sentimenti positivi del bene, della reciproca benevolenza, dell’amore duraturo oltre il tempo di una vita. E Filomena vive il suo amore con premura e rispetto, tenerezza e condivisione, oltre il tempo della vita del suo Ciccillo, per il quale <il lutto le rimase addosso tutta la vita. Mai lo levò>. Bellissime e intense le immagini di un Amore che si proietta lontano, all’infinito; che va oltre la dimensione contingente di un segmento della vita di chi ha la fortuna di conoscerlo e sperimentarlo durante il suo percorso. Ecco il valore e l’importanza del ricordo! Il ricordo della guerra e del suo dolore, il ricordo dell’amore e del suo calore, celebrati nel romanzo come omaggio alla capacità di un popolo di reagire alla miseria e alla distruzione e di ricostruire un paese distrutto, e come memoria di un legame affettivo profondo, reciso precocemente ma vivo ed attuale, per sempre! Pasquale De Luca ama la sua terra di Calabria, la gente operosa e generosa che la abita, che si leva alle prime luci dell’alba per lavorare, per coltivare i germogli di vita appena innestati, che sa affrontare il sacrificio, sa lottare, sperare ed amare. <Quotidiano e straordinario, giorno dopo giorno>, mentre il sole si leva alto ad illuminare le azioni degli uomini e gli aranci dei giardini carichi di odori, sapori e colori, e la notte riempie di stelle il firmamento. Amore e dolore come miracolo, come riscatto e rinascita. Una rinascita che coinvolge anche l’Autore; attraverso il romanzo di Filomena Egli scopre, anzi ritrova, una parte del suo intimo sentire sopita dalle alterne vicende di un percorso di vita in cui la sofferenza ha avuto un ruolo importante. Egli si rispecchia nella narrazione di una storia di amore e dolore, che sono essi stessi compagni costanti del suo cammino di vita. Ma, al contempo, Pasquale De Luca sa scorgere, nel suo cuore, quella luce mai spenta, portata dalla luna e dalle stelle, che gli ha permesso di scrivere versi struggenti e bellissimi. Una luce di fede profonda e tenace speranza, che predispone l’animo ad accogliere con serenità i doni che Dio vorrà ancora elargire. <La terra di Filomena> è romanzo d’amore, scritto con cuore amorevole e devoto, sincero e fecondo di buoni sentimenti, capace di coinvolgere il lettore in un’atmosfera lieve di serenità e speranza . È proprio la speranza il messaggio finale di questa opera; la speranza del riscatto, della rinascita, della vittoria della vita, sempre e comunque. Un romanzo d’amore, scritto per amore, con amore ! Stefania Tinessa |
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