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Mandaradoni Comune di Limbadi
Il Corpus Domini | |
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Mandaradoni di Antonino Di Grillo Immerso tra alberi d’ulivo e di querce secolari, il paesetto di Mandaradoni, frazione del Comune di Limbadi, sorge ai piedi del Monte Poro, lungo la strada provinciale che da Nicotera porta a Vibo Valentia. Da una parte e dall’altra due valloni: ponte zergo e ponte pirgolo. |
Mandaradoni, paese natale dello Storico Francesco Adilardi di Antonino Di Grillo Dal registro delle nascite presso l’archivio del Comune di Limbadi, risulta quanto segue: ”L’anno mille ottocento quindici a ventinove del mese di agosto, avanti di noi Antonio Barletta, sindaco ed ufficiale dello stato civile del comune di Mandaradoni, è comparso Don Paolo Adilardi, di anni ventotto, di professione galantuomo, domiciliato in Mandaradoni, ed ha dichiarato che oggi indo giorno 29 agosto, addì ore ventidue, nella sua casa di abitazione e dalla sua legittima moglie D.a Rosa Brancia, è nato un maschio che ci ha presentato, a cui si è dato il nome di Giovanni, Antonio,Francesco. La presentazione e dichiarazione si è fatta alla presenza di Antonino Brosio, di anni cinquantasei, di professione massaro, domiciliato in Mandaradoni e di Gregorio Cullari, di anni quarantasei, di professione bovaro, domiciliato in Mandaradoni. Il presente atto è stato letto tanto al dichiarante che a testimoni, ed indi firmato da noi e dal dichiarante giacché i testimoni hanno detto non saper leggere ne scrivere.” Lo Storico Francesco Adilardi è dunque nato a Mandaradoni. Compì i suoi primi studi in Mottafilocastro e poi in Monteleone (Vibo Valentia) apprese il diritto alla scuola degli Avvocati Francesco Paolo Inglese e Giuseppe Marzano. Qui contrasse le simpatie del Conte Vito Capialbi che pose a sua disposizione la ricca biblioteca famigliare da cui trasse molto profitto negli studi di archeologia e di patria storia. Completati gli studi legali si ritirò, per volere dei suoi, di nuovo nel villaggio di Mandaradoni, dove diede libero “sfogo” a quella che era la sua inclinazione naturale e cioè di raccogliere “notizie di antichità e porle nell’ordine dei tempi”. Così nel 1838 poté pubblicare in Napoli per la tipografia Porcelli la sua maggiore opera “Memorie Storiche sullo stato fisico, morale e politico della città e del circondario di Nicotera”, che rappresenta una testimonianza del passato di grande valore storico e gli procurò non solo la stima e la benevolenza dei Nicoteresi, ma soprattutto lodi ed encomi da parte dei dotti contemporanei. Infatti numerosi furono gli scrittori che lodarono la sua opera: - Filippo Cirelli nel suo Lucifero, 18 nov. 1840; - Vincenzo Torelli nel suo Omnibus Letterario, 17 dic.1840; - Leopoldo Pagano nel Progresso di Scienze Lettere ed Arti a. 1840; - Massimo Nugnes nel Foglio L’interprete gen. 1844; - Nicola Falcone nella sua Biblioteca Istorica Topografica delle Calabrie 1846; - Luigi Grimaldi di Catanzaro nei suoi Studi Archeologici sulla Calabria; - Nicola Corcia nella Storia delle Due Sicilie 1847; - Vito Capialbi nella nota 1 pag. 57 nei Documenti inediti circa la voluta ribellione di Tommaso Campanella. Ebbe anche lusinghieri giudizi da personaggi dotti e ragguardevoli quali: Michele Tafuri, Archeologo ed Istorico di Napoli; Matteo Camera di Amalfi; Cav. Agatino Longo dell’Università di Catania; ecc. La su detta opera giunse anche a Saxe-Gotha e ad Atene. Infatti il segretario del gabinetto letterario di Saxe-Gotha scriveva al Cav. Capialbi: le scritture di Vito Capialbi sopra Mesima e di Francesco Adilardi sopra Nicotera hanno molto interesse. Nonostante gli impegni che la professione di Avvocato gli procurava e le tante fatiche letterarie, l’Adilardi aveva ben in mente la buona sentenza "esser proprio della virtù non solo il sapere, ma si bene l’operare". Infatti si prodigava ai bisogni degli amici e degli umili, e anche al miglioramento del villaggio di Mandaradoni, impegnandosi che le strade fossero acciottolate. Si preoccupò anche della Chiesa donando una pisside d’argento, fregiò di ornamenti in oro ed argento la V. e M.S. Filomena, ornò l’Altare e realizzò un altarino con un quadro rappresentante Sant’Antonio di Padova. Dai vari risparmi procurati dalla Congregazione persuase la gente del villaggio a costruirsi un orologio pubblico. Per siffatte opere raccolse maggiore stima ed elogi e soprattutto trovò nuovi e più forti stimoli per altri impegni letterari. Infatti nell’anno 1840 andò a Napoli presso la Real Biblioteca Borbonica e Brancacciana per arricchirsi di molte notizie che in provincia non poteva avere ed ebbe anche modo di conquistarsi l’amicizia dell’Archeologo Matteo Camera e di molti altri insigni letterati. Ritornato a Mandaradoni si dedicò alla composizione di altre opere lodevoli: Cenni storici dei Vescovadi di Nicotera e Tropea, di Cariati e Nicastro, ricevendo dal Pontefice Pio IX la croce di Cavaliere di S. Gregorio Magno; nel 1848 pubblicò la biografia di Ercole Coppola Vescovo di Nicotera dal 1651 al 1656. Il 6 febbraio 1850 gli fu conferita la carica di supplente al Regio Giudicato del Circondario di Nicotera. Nonostante questo nuovo incarico che gli prendeva molto tempo, non tralasciava di dedicarsi agli studi di storia e di archeologia e di raccogliere notizie per compiere l’opera dei Nunzi come testimoniano i manoscritti inediti: I Nunzi Apostolici nel reame di Napoli; Notizie sull’istoria naturale civile e religiosa della città di Nicastro; la Provincia Cappuccina di Reggio descritta ed illustrata con brevità; Notizie genealogiche della famiglia Adilardi, ed altri ancora. Con decreto del 7 aprile 1851 fu nominato Presidente del Consiglio distrettuale di Monteleone, conquistandosi, per le sue nobili doti, la benevolenza del Sig. D. Giuseppe De Nava, degnissimo Sotto-Intendente e profondo conoscitore del Diritto Amministrativo. Fra le tante proposte che presentò al Consiglio è bene ricordare quella dell’Accademia Medamea, la quale approvata e proposta al Consiglio Provinciale, ora si ritrova con gli Statuti al Ministero della Pubblica Istruzione. Il 20 ottobre 1851 fu nominato Regio Giudice del Circondario di Cariati, dove si distinse per come amministrava la giustizia, con imparzialità e rettitudine, ma anche con grande umanità, riscuotendo rispetto e stima da parte delle Autorità Superiori della Provincia e del Distretto di Cariati. "Tutto arrideva al virtuoso e benemerito giovine magistrato e promette agli felicissimi eventi; ma il dito di Dio, che nell’eterne sue giustissime mire ad ogni cosa segna sua meta, già tirava quella linea fatale, che oltrepassar non si può, ed ove il mar della vita rompe i suoi flutti ”. Colpito da febbre terzana (malaria) venne a morte nella sera del 13 ottobre 1852 estinguendosi con lui defunto nel celibato, il ramo Adilardi, che nascea da Princivalle e Delia Braghò. La biografia del Cav. Francesco Adilardi è stata scritta nel 1854 dal Canonico Cav. Vincenzo Brancia di Nicotera e dedicata al Ch. Matteo Camera, Storico e Archeologo Prestantissimo, Socio di vari Consessi Letterari e Scientifici dell’Accademia di Napoli e di Roma, Autore di molte Opere Lodate. In merito alla morte di Francesco Adilardi ancora oggi emergono ipotesi contrastanti. Alcuni ritengono che perse la vita battendosi in un duello con il Regio Giudice del Circondario di Cariati: il motivo del contendere il cuore di una donna. Altri invece sostengono che il vero motivo è stato la sua nomina a Regio Giudice del Circondario di Cariati che provocò l’allontanamento del suo predecessore, il quale non accettando di essere stato rimosso da una carica così prestigiosa, si ritenne offeso nell’onore e sfidò l’Adilardi in un duello all’arma bianca. L’Adilardi, pur essendo di indole mite, non si sottrasse alla sfida. Nella contesa fu ferito con un pugnale che lo sfidante vigliaccamente aveva provveduto ad ungere nel veleno procurandogli una febbre che lo vide soffrire per diversi giorni fino a quando morte non lo sopraggiunse. Nell’anno 2001 il sottoscritto, interpretando la volontà dei Mandaradonesi, si fece promotore presso l’Amministrazione Comunale di Limbadi affinché si adoperasse a che un uomo così nobile, valentissimo nell’arte del Diritto e della Storia, venisse ricordato dedicandogli una nuova Via che appunto oggi si chiama via Francesco Adilardi. Nino Di Grillo - Maggio 2006 |
immagini a cura di Antonino Crudo E' attraversato per tutta la sua lunghezza dalla strada principale, Via R. Elena, da cui si dirama, all’altezza dell’Ufficio Postale, Via Aosta, una stradina in forte salita che porta alla parte alta del paese, detta, fino a non molto tempo fa, ”a cruciceja” in quanto ivi sorgeva una piccola struttura in pietra e calce sormontata da una croce in ferro, in seguito demolita. Dalla piazzetta, dove sorgeva la vecchia Chiesa, demolita per motivi di viabilità, prende origine Via Indipendenza che attraversa la parte più antica del paese detta ”populu a rana” per poi congiungersi con a ”cruciceja”. Si racconta che il termine ”populu a rana” sia stato importato dall’Argentina dai primi emigrati Mandaradonesi,
che di ritorno da quella Nazione hanno identificato la parte più povera del paese con quelle terre lontane dove i nostri paesani vivevano in case di legno e baracche, affrontando grossi sacrifici. Un tempo la piazzetta era il punto d’incontro dei nostri paesani, che, dopo una giornata di lavoro, alcuni si ritiravano du ”suvaritu” (località nei pressi di Nicotera Marina) con la bicicletta e u ”zappuni”, la maggior parte da ”pugghisa”, altri di petti, trovavano posto sui gradini delle porte per scambiarsi parole, esperienze,notizie riguardo la coltivazione dei terreni, pettegolezzi. Dalla piazzetta, continuando verso Motta Filocastro, lungo la strada provinciale, prende origine Via C. Battisti, che porta fino alla fine del paese dove sulla destra si può notare un antico e artistico Calvario.
Il forestiero che vi arriva per la prima volta e subito attratto dalla quiete e dalla serenità dell’ambiente, dal clima temperato, dalla disposizione delle case, una accanto all’altra, unite, quasi a voler indicare un forte legame d’amicizia, di fratellanza, di solidarietà. Inoltrandosi poi nelle stradine e nei vicoletti della parte più antica del paese "populu a rana", si possono notare tante casette quasi arroccate una sull’altra, alcune con le facciate rifatte, altre invece prive d’intonaco, che mettono a nudo la strutturafatta di breste
che si mantiene ancora intatta.
Fanno un certo effetto i balconi e le grate in legno come pure spiccano le scale tutte esterne, in pietra, dove nei pomeriggi e nelle serate estive la gente semplice discorreva e raccontava, trasmettendo valori e tradizioni Notizie storiche ricavate da varie scritture fanno risalire la fondazione del paese di Mandaradoni alla fine del 1500. Veniva chiamato Mandaranoli, subendo nel tempo varie trasformazioni in ”Mandarano – Mandaraloni – Mandaranoni – Mandraone” per convertire definitamente la nomenclatura in Mandaradoni alla fine del XVII secolo. In forma dialettale si chiama ”Mandarauni”. Un’antica tradizione vuole che a far nascere il paese siano stati due fratelli siciliani, Dante e Sergio da Lentini, i quali, in seguito a misfatti perpetrati nel loro paese, per sfuggire alle mani della giustizia, trovarono scampo rifugiandosi nei terreni dove appunto oggi sorge il paese, dedicandosi alla vita pastorale. Nacque cosi il primo nucleo familiare che nel tempo andò sempre più incrementandosi tanto che nel 1622 contava 268 abitanti, nel 1648 erano 354, nel 1746 229, nel 1779 135, nel 1783 283, nel 1795 276” nel 1816 309, nel 1837 346, nel 1850 378. Nell’anno 1900 gli abitanti diventarono ancora più numerosi tanto da toccare punte massime di circa 800 intorno agli anni 1940 – 1950. All’inizio degli anni sessanta nel paese si contavano ben quattro botteghe di generi alimentari compreso il tabacchino. Paese tipicamente agricolo, con grande quantità di acqua potabile” tanto da fornire il capoluogo ed i paesi vicini; gli abitanti in prevalenza sono contadini e proprietari terrieri della vicina località ”pugghisa” da cui traggono i prodotti tipici quali ortaggi, cereali, vino e soprattutto olio molto rinomato e apprezzato.
In seguito il paese, legato al mondo contadino che si misurava sui cicli della terra e sulle speranze del raccolto, subì un forte declino demografico a causa dell’emigrazione. Infatti intere famiglie furono costrette dalla disoccupazione ad emigrare al Nord in cerca di lavoro, penalizzando moltissimo la comunità. Oggi il paese conta circa 320 abitanti e si nota una certa espansione edilizia che fa ben sperare per il futuro. Infatti si possono notare nuove costruzioni nella località ”mastru pinu” e nei terreni che si estendono fino al ”ponte zergo” e anche oltre. Come attività lavorative esistono un negozio di mobili di Tommaso Barbalace, una carrozzeria ben attrezzata di Rodolfo Barbalace, un frantoio dei fratelli Marcello e Maurizio Lentini, una falegnameria di F. Limardo di Motta Filocastro, che danno lavoro a tante persone.
Esiste una bottega di generi alimentari, l’ufficio Postale, una Scuola Materna che ha sostituito la Scuola Elementare andata persa per mancanza di bambini alla fine degli anni 1980. Secondo alcune statistiche Mandaradoni, in rapporto agli abitanti, ha espresso il più alto numero di laureati del circondario.
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Pia Lentini: Come tutti i paesini della Calabria anche Mandaradoni ha le sue vedute e vicoli caratteristici..... Eccone alcuni.
I vicoli di Mandaradoni |
I vicoli di Mandaradoni |
I vicoli di Mandaradoni |
I vicoli di Mandaradoni |
I vicoli di Mandaradoni |
Nella piazza antistante la chiesa della Madonna della Neve si trova, all'interno della fontana, una statua in granito locale del Poro. La statua è stata realizzata dall'artista Mandaradonese Tommaso Barbalace. |
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