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 Potenzoni   Comune di Briatico

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L'Origine di Potenzoni

La Chiesa di Potenzoni

Natale a Potenzoni

Infiorata del 2013  2012  2011  2010  2009  2008  2007

Potenzoni il Paese dell'Infiorata

Le strade un tappeto di fiori

Si ripete ogni anno con successo la tradizionale "Infiorata", manifestazione che si svolge in occasione del Corpus Domini; a promuoverla è la comunità della parrocchia di Maria Santissima Assunta, in collaborazione con le istituzioni amministrative pubbliche che provvedono a istituire ed assegnare dei premi per i migliori allestimenti.

Le strade del paese - diviso in quattro quartieri: Agave, Glicine, Torre e Chiesa, ognuno con una sua bandiera - sono praticamente ricoperte da tappeti di fiori, che vengono realizzati dagli abitanti dei vari quartieri componendo mosaici stradali, apprezzati da molti visitatori che giungono pure da fuori regione.

Infine viene nominata una commissione che giudica i migliori tappeti e mosaici, e ne proclama i vincitori ai quali verranno assegnati i premi.

L'infiorata di Potenzoni

Potenzoni: Antico Portone

Strade e Case antiche di Potenzoni

Monumento: "A CRUCI"

Vecchie vie di Potenzoni

Monumento: "A CRUCI"

Il Calvario di Potenzoni nel paese

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L’Origine di Potenzoni           Ricerca a cura di Tommaso Prestia

Il nome attuale del paese viene attribuito a due diverse leggende, quella Maggiore e quella Minore. La leggenda maggiore parla delle vicende avvenute ad un gruppo di monaci stabilitisi sulla collina del monte Efeso, la persecuzione dei cristiani,la distruzione delle icone sacre e la successiva fuga in Italia di alcuni religiosi di Efeso per cercare di salvare il quadro più venerato nel proprio monastero. La leggenda minore narra del misterioso approdo della Statua della Madonna Assunta nel mare presso Sant’Irene e le successive vicende intercorse fra gli abitanti del circondario per decretare chi dovesse portarsi la Statua nel proprio paese. Quest’ultima è quella più conosciuta e viene tramandata da generazione in generazione fra gli abitanti del posto. Il nome del paese ,sin dalla sua costruzione, era "Le Pinnate" e sorgeva nell’attuale posizione di Potenzoni, non molto distante da Briatico Vecchio. La borgata “Le Pinnate”, fino a qualche secolo fa, era probabilmente il paese più grande e importante tra i quelli esistenti intorno a Briatico. Era funzionante una fabbrica del vetro e veniva lavorato il pellame, specialmente la pelle d’asino per ricavare tamburi e tamburelli cembalici, calzari a forma di ciocia. Il luogo era abitato stabilmente per lo più in estate in quanto gli abitanti dovevano lavorare i campi ed effettuare la mietitura e la vendemmia. Era un casolare ben squadrato composto da una diecina di piccoli edifici fatti di blocchi di tufo, con il tetto ricoperto di tegole. Il paese e la parrocchia erano molto ambiti dal Vaticano che spesso interveniva nella gestione della Chiesa, molto desiderata da tanti sacerdoti ben preparati.

La Leggenda Minore

Secondo la leggenda, nel mare nei pressi di Sant’Irene, approdò miracolosamente una bellissima Statua raffigurante la Madonna Assunta. Quando i marinai videro arrivare la cassa contente la statua  subito diffusero la voce e gli abitanti dei paesi più vicini quali San Costantino, Potenzoni e Briatico accorsero  per impadronirsi della preziosa reliquia e sistemarla nella propria chiesa. San Leo non partecipò alla gara perché, per parecchi secoli, la sua storia si confondeva con quella di Briatico, siccome l’origine vera del paese non era conosciuta da nessuno. I primi ad arrivare sulla spiaggia furono alcuni contadini di San Costantino che avevano le terre li vicino al mare. Senza indugio provarono a sollevare la statua, ma non riuscirono a sollevarla neppure di un palmo nonostante fossero dieci i contadini ad unire le forze per compiere il gesto. Dopo essersi accertati che non si trattava di un evento naturale, si inginocchiarono dinanzi alla grande immagine chiedendo perdono dei loro peccati e chiedendo grazie per le loro famiglie e per i campi. Nel frattempo erano giunte parecchie altre persone in aiuto dei primi arrivati. Gli abitanti di Briatico erano convinti che la Madonna avesse scartato i contadini di San Costantino perché abitavano in un piccolo villaggio, la loro chiesa non era adatta e non avevano la loro stessa preparazione e cultura. I pescatori e i contadini di Briatico, allora, unirono le loro forze per sollevare la statua e ancor prima di riuscirci facevano segno alla gente di spostarsi e fare spazio, indicando il punto preciso verso cui si sarebbero diretti per portare la statua nella loro città. Erano più di venti le persone che provavano ad alzare da terra la statua, ma essa rimaneva sempre li, come  se fosse piantata per terra ed avesse radici solidissime. Tutti quanti erano rassegnati e decisero che la Madonna sarebbe rimasta per sempre nella spiaggia, sulla sabbia, a benedire tutti i naviganti ed i pescatori, i quali, con l’aiuto degli altri, avrebbero costruito una tettoia per difenderla dal sole e dalle intemperie. A quel punto si fecero avanti alcuni uomini ed una donna provenienti dal casale che allora si chiamava Le Pinnate. I briaticesi erano contrari a dare una possibilità ai pinnatoti, ma fu il vecchio Zio Antonio, conosciuto e rispettato da tutti, a stemperare i toni d’ira che si erano creati e concesse la possibilità di tentare di sollevare la Statua anche agli abitanti delle Pinnate. In otto, tra cui una donna di nome Miriana, si posero intorno alla statua, fecero il segno della croce e senza essere molto convinti iniziarono a sollevare la statua. Gli occhi dei presenti non credevano a ciò che stavano vedendo, tutti quanti urlarono stupiti: la statua improvvisamente era diventata leggera. I pinnatoti erano riusciti a sollevarla senza alcuno sforzo. Sembrava essere diventata di cartone. Si avviarono subito verso il proprio paese con la statua a spalla fra le urla d’ira e risentimento degli abitanti di Briatico, i quali, non ritenevano giusto ciò che era accaduto. Tentarono invano di togliere la statua dalle mani dei pinnatoti, riuscendo a strappare solamente un angelo dal corpo della santa Vergine e a portarselo nel proprio paese.

I pinnatoti, con l’Assunta sulle spalle, avanzavano di casale in casale fra la folla crescente di gente. La Madonna venne coperta da un largo lenzuolo per evitare che gli arbusti e le spine delle strade di campagna scalfissero la meravigliosa reliquia. Finalmente da lontano videro il paese delle Pinnate: fecero una piccola sosta e avanzarono nuovamente in processione. Le spine ai bordi delle strade erano ancora troppe per togliere il lenzuolo posto sulla Madonna, ma appena giunti alla piazzuola, un ramoscello di rovo urtò la statua e tirò giù il drappo che la copriva. Sul volto della Madonna comparvero le piccole Pinnate che formavano il paesello. Appena il velo cadde tutti videro le labbra della vergine muoversi pronunciando le seguenti parole:

" Che potenza che ha questa spina ! "

A questo punto tutti quanti capirono che le parole udite erano una profezia e quando la statua entrò nella piccola chiesa, il sacerdote la incensò solennemente, fece una lunga predica per invitare i fedeli ad essere sempre riconoscenti per una scelta così particolare della Madre del Signore e espresse il parere che sarebbe stato giusto ed opportuno che il paese avrebbe dovuto cambiare: non più Le Pinnate, ma il paese della Potenza, che mediante l’utilizzo di un genitivo particolare diventa Potenzoni. Da quel giorno il paese si chiamò per sempre così. Gli abitanti, il 15 Agosto di ogni anno, venerano solennemente la Vergine Assunta come loro patrona portandola a spalla in processione tra le piccole vie del paese che da lei ha preso il nome e acquistato la fama.

La Leggenda Maggiore

Ai tempi dei grandi Antonio e Paolo si andavano formando sempre più piccole comunità di seguaci di Cristo, che generalmente si stabilivano su delle colline, all’interno di piccole grotte. Nei pressi di Efeso ve ne era una in particolare, la più famosa e la più frequentata dai fedeli. La grande importanza nasceva dal fatto che su quella collina era stata sepolta la santa Vergine che in seguito fu portata in cielo dagli angeli al fianco di suo figlio. In ricordo della speciale presenza sul colle della Madre del Signore fu posto in una grotta scavata nella roccia un quadro particolare probabilmente di origine Acheropita. Il quadro raffigurava la dormitio della Madonna: la Vergine Santa era distesa su un letto ricoperto da un velo purpureo riccamente adornato sui bordi. Il quadro era semplicemente splendido e moltissimi fedeli accorrevano nella grotta per baciare e venerare la sacra icona, rimanendo a bocca aperta una volta giunti dinanzi al quadro. La tranquillità e la normalità della vita dei monaci fu sconvolta dalle pessime notizie date loro dal santo Anatasio III e dall’egumeto Pantaleontis.

Gli arabi avevano intrapreso una conquista capillare dei territori limitrofi e Leone, imperatore d’Oriente, aveva avviato una feroce distruzione delle Icone Sacre. Per salvare dalla distruzione le reliquie sacre l’egumeto Istacos decise immediatamente di tentare la fuga nell’Italia Meridionale, avendo da sempre ricevuto notizie positive sull’accoglienza data dalla popolazione cristiana del posto ai monaci d’Oriente. I monaci, allora, costruirono una cassa appiattita per collocare il quadro all’interno durante il trasporto via mare e lo ricoprirono di porpora. Presero l’icona sacra dalla grotta, la avvolsero in una stoffa di lino bianco e la deposero nella cassa, la coprirono con altri drappi di stoffa pregiata, la cosparsero di profumi e, per evitare che il quadro subisse dei graffi durante il viaggio, sistemarono della paglia nella cassa. Fissarono il coperchio, si assicurarono che non vi fossero delle fessure attraverso le quali potesse entrare l’acqua in caso di naufragio e si avviarono verso il porto di Atene. Giunti nella capitale greca, in attesa che una nave salpasse verso la Sicilia, furono accolti da alcuni monaci e discutendo ebbero modo di apprendere che anche gli uomini di Dio venuti da oltre Bisanzio stavano tentando la fuga nella penisola italiana con le icone sacre. Qualche giorno dopo i monaci iniziarono il loro viaggio verso l’Italia giungendo, dopo due giorni,sulle coste italiane presso Leuca. Una volta ripreso il viaggio, varcarono lo stretto di Messina e all’improvviso avvenne un fenomeno molto sgradito ai passeggeri dell’imbarcazione: il cielo divenne nuvoloso, il forte vento impediva di solcare le acque speditamente, nonostante l’impegno profuso dai navigatori per cercare di evitare un eventuale naufragio. Riuscirono a navigare per un altro giorno nonostante le condizioni atmosferiche catastrofiche. Giunti nei pressi dello Scoglio di Ulisse, il comandante consigliò ai passeggeri di provare a salvarsi gettandosi in mare e tentare la fortuna, perché sarebbe potuto accadere che la nave fosse sbattuta dalle onde contro le rocce dell’isolotto. I monaci tentarono di salvarsi facendo uso delle casse pregiate come scialuppe tenendosi ognuno alla fune legata intorno alla cassa. Giunsero, con tanta fortuna, sulla vicina riva e bagnati e infreddoliti si scaldarono accendendo un falò con l’abbondante legna presente nel luogo. Intanto la nave era andata a sbattere contro lo scoglio di Ulisse. Si riposarono tutta la notte, e una volta che scoprirono che l’imbarcazione non aveva subito danni provarono a sollevare la cassa per riprendere il viaggio. Si accorsero che non riuscivano a sollevarla e dopo essersi fatti aiutare, con esito negativo, da altra gente nell’azione da compiere interpretarono il fatto come un segno divino e decisero di rimanere nel posto dove erano naufragati. Il Signore aveva un destino speciale per loro. L’imbarcazione intanto, con il resto dell’equipaggio, partì per Roma.

I monaci pregarono e digiunarono per tre giorni, cantarono tutti insieme gli inni e i tropari più belli. Poi l’egumeto Istacos si alzò in piedi e rivolto verso il mare disse:

"Voi di Atene andate verso destra: incontrerete un piccolo fiume: seguitelo verso la sorgente. Al primo paese che incontrerete fermatevi, aprite la cassa e pregate la vostra icona. Il resto lo farà il Signore. Noi e i fratelli di Bisanzio andremo verso sinistra e saliremo lungo il primo corso d’acqua che incontreremo. Cristos Anesti. Alleluja".

Una volta salpata la nave, i monaci provarono a sollevare nuovamente la cassa, questa volta con esito positivo, e si avviarono lungo la direzione suggerita dall’ispirazione. I monaci camminarono per varie miglia e una volta giunti vicino ad un fiume che sfociava nel mare, i vari gruppi, provenienti da Monasteri diversi, si divisero. Si salutarono con molta commozione e l’egumeto Istacos disse che dovunque li avesse portati la santa provvidenza fra i due paesi dove si sarebbero venerate le sante icone, ci sarebbe stata un’alleanza eterna. I monaci di Istacos proseguirono il cammino lungo la valle che andava sempre più restringendosi giungendo fino a  Rosarnello, paese edificato su un colle ben fortificato, con una forte componente pagana manifestata chiaramente nella venerazione della Dea Proserpina. Una volta giunti fino all’unica porta d’ingresso, i monaci furono respinti dal custode del posto dicendo loro che non poteva far entrare nessun cristiano nel loro pagus per paura di far perdere alla popolazione la devozione della grande Proserpina. Detto questo, indicò loro la strada da seguire  per giungere in una borgata vicina, abitata in estate da molti contadini cristiani. L’egumeto Istocos accettò di buon grado l’indicazione ricevuta e prima di proseguire il cammino benedisse la collina di Rosarnello con la speranza che nei secoli successivi potesse scendere sul paese lo Spirito del Signore Dio. Dopo aver camminato parecchio, i monaci giunsero vicino ad un pagliaio sulla cui aia c’era una grande croce di legno con dei fiori alla base. Provarono a constatare la presenza umana nel pagliaio gridando a gran voce e domandando se qualcuno fosse presente all’interno; si affacciò un contadino dalla carnagione scura, non molto alto, serio che per primo salutò dicendo: “ Christos anesti..”. I monaci risposero “Alleluja” alzando le mani al cielo in segno di lode e ringraziamento al Signore. Il contadino li accolse con gioia, li fece sedere su dei ceppi di legno collocati sotto una grande quercia dove era presente anche un tavolo rudimentale preparato con rami di olmo e di acacia. Offrì loro pane, vino, more bianche e una lattuga fresca tagliata al momento nell’orto. I monaci accolsero con riconoscenza la grande ospitalità ricevuta,mangiarono e cominciarono a raccontare la loro storia.

Purtroppo il contadino, che si chiamava Anastasio Gajetus, non poteva ascoltare la storia in quel momento perché doveva assolutamente accudire gli animali prima di rinchiuderli nella stalla per la notte, ma disse ai monaci che sarebbe stato molto felice, sarebbe stato un gesto molto bello da parte loro se  avessero voluto raccontare la loro storia “Alle Pinnate”, luogo dove ogni sera i contadini del posto si riunivano per socializzare e raccontarsi storie vecchie e nuove. Infine chiese conferma se fosse vera la notizia, di cui era venuto a conoscenza durante una discussione serale con gli altri contadini riuniti nella borgata, che un certo Maghammetta, vera incarnazione dell’anticristo, passasse tra i cristiani e cancellasse il battesimo dalla fronte. L’egumeto ascoltava, con il viso quasi sorridente, la notizia appresa dall’umile contadino; in parte confermò la notizia e accettò l’invito a recarsi insieme agli altri monaci “Alle Pinnate” per raccontare la loro storia. Il contadino, poi, diede ai monaci la disponibilità di dormire nel suo fienile spazioso e pieno di paglia se avrebbero avuto bisogno. Finalmente giunse la sera, lucente ed intensa: il cielo splendeva di stelle e la terra faceva eco con mille lucciole che erano come sospese tra le piante a poca altezza dal suolo. Anastasio accese un candeliere e si incamminò verso Le Pinnate che distavano pochi passi dal suo fienile. Altre persone fecero la stessa cosa e si ritrovarono tutti nel medesimo luogo. Fin dalla sua fondazione il luogo era detto “Alle Pinnate” e vi accorrevano adulti e ragazzi che allietavano e rompevano la quiete con i loro schiamazzi e i loro giochi quasi sempre troppo rumorosi. Quella sera, tutti i contadini della zona erano attratti dai monaci giunti nella borgata, e si riunirono Alla Pinnate per accoglierli calorosamente ed ascoltare quanto dicevano. L’egumeto ringraziò per l’ospitalità ricevuta e disse alla gente accorsa ad ascoltare le loro parole che era rimasto molto felice per aver ascoltato un saluto cristiano come prima parola una volta giunto nel paese. Iniziò a raccontare la lunga storia, parlando della Santa Vergine Maria e dello stupendo quadro esposto nella grotta del Monastero in suo onore. Tutti quanti rimasero stupiti quando l’egumeto disse che la reliquia della Vergine era lì in mezzo a loro e vollero subito venerarla e baciarla. Padre Istacos fece preparare un tavolo rudimentale chiedendo alle donne di adornarlo nella maniera più bella possibile così da essere degno del tesoro che veniva posto sopra. In breve tempo venne allestito un altare magnifico e tutti  vi portarono fiori in gran quantità e di ogni specie. Un donna andò di corsa nella sua pinnata, prese un telo lavorato artisticamente e lo fece sistemare vicino all’altare. Tutti si alzarono e si misero in semicerchio intorno al tavolo.

I monaci posero sette candelieri sull’altare e, mentre cantavano il tropario pasquale che descriveva l’apparizione del Signore alla sua Santa Madre, si avvicinarono alla cassa, la scoperchiarono e una volta presa la santa icona con il lino bianco che la avvolgeva la posero sull’altare fra i fiori. All’istante tutti caddero in ginocchio e il piccolo Samuel, un bambino muto, figlio di un contadino, gridò a gran voce:

“Kaire, Kaire Miriam kekaritomene ...“

E poi aggiunse nel dialetto parlato a quel tempo:

“Eni la potenza Dei in nobis a cona ...“

I fedeli lì presenti avvertirono una gioia sovrumana dentro il loro cuore e qualcuno affermò di aver persino sentito dei cori angelici che proclamavano la grandezza della Santa Vergine e la misericordia che guardava con occhi particolari quel luogo benedicendolo per sempre.

Quella notte nessuno volle andare a dormire: fu una veglia di Pentecoste davvero unica con la recitazione continua di canti e preghiere. Il piccolo Samuel ormai parlava speditamente e insieme agli altri bambini non si stancava di raccogliere fiorellini per adornare l’altare della Madonna. Il giorno dopo la festa tutti quanti dissero che sarebbero scesi in città per partecipare alla celebrazione dei divini misteri. Padre Istocos rimase molto contento per la fede percepita nei fedeli e rimase colpito quando venne a sapere che nella borgata non poteva essere celebrata la divina liturgia perché il vescovo di Vibo Valentia era contrario a mandare un sacerdote dovunque ci fossero gruppi di pinnate. L’egumeto allora si assunse il compito di parlare direttamente con l’eparca per far aprire un fonte battesimale vicino alla Santa Icona della Vergine esposta. Spiegò anche che per il miracolo avvenuto al piccolo Samuele e per il significato dell’icona stessa il paese da quel momento doveva cambiare nome. Da quel momento “La Pinnata” mutò nome in “Potenzoni”, il paese della Potenza: la potenza di Dio che fa parlare i muti, che prende tramite i suoi angeli il corpo Santissimo della Vergine Maria e lo trasporta in cielo.

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