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 Tamburello Festival 2009

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ZAMBRONE INVASA DAI TARANTOLATI

Tammurria e Nagrù entusiasmano la sesta edizione del Tamburello festival

Cala il sipario anche sulla sesta edizione del Tamburello festival, manifestazione di punta fra quelle organizzate dal Centro studi "Aramoni", l’associazione senza fini di lucro che da anni si occupa dello studio e della diffusione dell’arte, della cultura e della storia della Calabria.

Quest’anno il festival si è articolato in diversi momenti di incontro con la tradizione, in particolare coreutico-musicale ma anche gastronomica, artistica e artigianale, del Meridione. Con il Laboratorio di danze tradizionali calabresi, affidato al trio di musica popolare Nagrù, conclusosi il 2 agosto, e con il concerto itinerante sulla spiaggia di Zambrone del 16 agosto, con il duo "I suonatori dell’Istmo d’Italia", si è avviato un percorso di riscoperta della cultura calabrese, di recupero della danza e della musica popolari come strumento di comunicazione, di riappropriazione del corpo, di aggregazione e socializzazione, che si è concluso il 18 agosto.

Il paese fin dal tardo pomeriggio si è animato e si è riversato per le vie principali, dove si snodava la "Galleria d’arti...e mille sapori" con le esposizioni di artisti e artigiani calabresi, fra cui il pittore Giuseppe Vitetta, e le degustazioni di piatti e prodotti tipici. Fra un piatto di "fileja" e un bicchiere di vino "aramonese" o di zibibbo, grande curiosità e fascino ha destato il Laboratorio degli strumenti musicali tradizionali calabresi, con le esposizioni di Pasquale Lorenzo e Giuseppe di Cello. Zampogne, pipite, tamburelli e lire sono stati oggetto di curiosità e ammirazione e i due artigiani si sono anche esibiti con i propri strumenti.

In piazza e per le vie, si sono esibiti i "Giganti", Mata e Grifone, i «fantocci dal cuore umano» impegnati in frenetiche danze amorose , narrando di tempi remoti e re stranieri. E fra i maestosi giganti, due coppie di "giganteji", fra cui quelle di Davide Pietropaolo, di quattro anni e mezzo, che dal padre ha ereditato la passione per questa forma d’arte e che si è esibito con i fantocci di sua creazione.

Pezzo forte della serata, le esibizioni dei gruppi di musica tradizionale del Meridione. I "Tammurria" hanno aperto le danze con le tarantelle del Salento e delle "Tarantate", le giovani donne che, morse dalla "Taranta", erano al centro di quei riti di guarigione e reinserimento domiciliari coreutici, ritmici, musicali e cromatici, che l’antropologo De Martino filmava negli anni Cinquanta.

Ritmi coinvolgenti e danze sfrenate hanno scaldato l’atmosfera, rievocando, nell’estasi generale, i simboli di un mondo misterioso, nel quale la danza è vita, è libertà. Un concerto esaltante sia per la qualità musicale che per il suo elevato tasso di spettacolarizzazione.

Con il trio Nagrù, ci si è definitivamente abbandonati alla danza sfrenata delle "viddhaneddhe reggine" e delle "Pastorali del Pollino". Dopo i brillanti ritmi del Salento, si è quindi tornati in Calabria, ai versi di poeti nostrani, a canti d’infanzia e d’amore, con «donne tanto belle da far muovere gli astri» e inni alla «terra d’amuri, terra d’Aramoni».

Nel frattempo, il teatro di Saverio Strati, declamato da Lindo Nudo, accompagnato da Biagio Accardi.

In conclusione, finale col botto, con la danza storico-rappresentativa della "cameiuzza ‘i focu", il colorato asinello di cartapesta imbottito di fuochi d’artificio, che danzava infuocandosi al ritmo del tamburo. Una serata speciale, calda ed entusiasmante a giudizio unanime, «indimenticabile».

Eleonora Lorenzo

Pubblicato su Calabria Ora il 22 agosto 2009, p. 41

Immagine dei dolci

La Torta celebrativa

I Tammurria

I Tammurria

I Tammurria

I Suonatori di strumenti tradizionali

I Nagrù

La piazza in festa

La piazza in festa

Il Ballo della Camejuzza

Il Ballo della Camejuzza e dei Giganti

Il ballo dei piccoli Giganti Mata e Grifone

 

CENTRO STUDI UMANISTICI E SCIENTIFICI - ARAMONI

 www.Aramoni.it

 ZAMBRONE  18 Agosto 2009

TAMBURELLO FESTIVAL 2009

 VI Edizione

 TARANTELLA RURALE NEL VILLAGGIO... GLOBALE

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Programma della Manifestazione

20:00 Apertura della  SAGRA ARAMONESE

20:30 Ballo dei        GIGANTI

21:00 Esibizione       Musicisti Tradizionali Itineranti

21:30 Il Teatro di     LINDO NUDO: una voce per Saverio Strati

22:00 Concerto         TAMMURRIA

24:00 Concerto         NAGRU’

01:00 Ballo della       CAMEIUZZA

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 - Galleria d'Arti e Sapori... e Mille Sapori !

 - Laboratorio degli Strumenti Musicali Tradizionali Calabresi

 

SAGRA ARAMONESE -   Sesta edizione

FILEIA, GUSTO E TRADIZIONE DEL VIBONESE

Il "Dinaculo" sembra un bastoncino di legno insignificante. Ma quando viene afferrato dalle robuste (e sempre più rare) braccia delle donne indigene, scopre la sua ragione d’essere. Il movimento che gli viene impresso dalle massaie nostrane è ondulatorio e costante.

Un’operazione ripetitiva ma misteriosamente capace di dare senso compiuto a un amorfo composto di acqua e farina. Il risultato di questo rito energico dà luogo ai "fileia" (secondo altri "fileja", "fileda" o "filea"). La forma è ricurva. Come le schiene dei contadini che, per primi, hanno scoperto le delizie di questa pietanza. Appaganti. Dopo averne consumato un piatto abbondante la soddisfazione è piena.

I fileia non sono un primo piatto. Piuttosto una bomba di carboidrati. Uno strumento di contrasto alla fatica degli uomini e delle donne del Sud. Rispetto agli hamburger e alle piadine si pongono su un piano antitetico. Ma i fileia sono anche l’antitesi dell’antimateria. E quando materia e antimateria s’incontrano, danno vita all’energia. Un piattone di fileia costituisce, pertanto, un vero e proprio propulsore atomico.

I fileia si accompagnano volentieri ad altri elementi "tosti", ovvero fagioli e ceci. Elementi non proprio noti per la loro leggerezza. Il pecorino del Poro e una fiamma di Sua Maestà il peperoncino completano l’artiglieria pesante di questo particolare prodotto. I turisti ne sono altissimi estimatori. Prova ne sia l’occhio sfavillante e il sorriso gioviale con cui accolgono la pietanza in argomento. Quando irrompono sulla tavola, hanno lo stesso effetto di Sean Connery su un set cinematografico: totalizzanti. Nelle sagre sono quasi sempre presenti. In loro onore vengono allestiti banchetti e tavolate senza fine. Istigano alla socievolezza. Perché risulterebbe oltraggioso consumarli da soli. Suggeriscono acute riflessioni. Sui prodigi di una cucina povera ma miracolistica per i suoi incredibili risultati. Inducono alla ricerca.

Un’invenzione di siffatta portata rinvia, direttamente alla ricerca storica e antropologica. Odorosi, fumanti, sono per loro stessa natura proletaria. I fileia non sono soltanto un piatto etnico. Piuttosto simboleggia l’essenza di un popolo, la sua proverbiale fame, la voglia di abbondanza, il desiderio di colmare vuoti siderali e spaziali enormi. Sono la tarantella della tavola. Per la loro capacità di rallegrare i banchettanti. Racchiudono stratificazioni culturali ataviche, dati empirici gaudenti.

Il loro consumo, oggi come in passato, si accompagna a una ricorrenza festiva. Aggiungono un ulteriore elemento di spensierata allegria. Una loro peculiarità è l’immediatezza con cui si sciolgono in bocca. A vederli sembrano creature ostiche, da prendere con le molle e tutte le cautele del caso. Ma in bocca si sciolgono con la stessa rapidità di un cioccolatino.

La pietra miliare di una cultura gastronomica determinata, creativa e affidabile. Come lo spirito dei calabresi ?

Pietanze zambronesi                  Dolci zambronesi

Fileia                                             Ciciariata

Frittata con cipolle                              Pitte pie

Cururicchie                                       Crostata con marmellata al peperoncino

Soppressata                                      Crostata con marmellate casarecce

Salsicce                                          Torte al cioccolato

Vino aramonese (produzione biologica)           Torte al limone

Vino di zibibbo                                   Torte alle mandorle

                                                   Cannoli

 

TARANTELLA RURALE NEL VILLAGGIO... GLOBALE

Venivano da Rombiolo, Calimera, Francica, Cessaniti, arruolate da caporali di giornata e stipate su decrepite Fiat 615 o su malandati " Leoncini " di terza o quarta mano, erano  fatte scendere davanti al frantoio elettrico di via della Vittoria e da lì smistate verso le ante di rispettiva competenza. Le attendeva una giornata di lavoro duro, 10-12 ore chine sui campi di cipolla rossa. Estraevano i bulbi, li pulivano, li ammucchiavano, li stipavano nei cesti di salice bianco sovrastati da un di coperchio  legato da un sottile cordame di saracchio, e infine a due a due li caricavano sui fianchi degli asini che scendevano lenti, in fila indiana, verso il punto di raccolta.

Erano le femmine della cipolla. Giovani e anziane, alcune quasi bambine da scuola dell’obbligo. I volti cotti dal sole, le mani callose, molte scalze, occhi scuri, vivaci, diffidenti. Pochi sorrisi, alcune cantavano Vola, colomba e Son tutte belle le mamme del mondo, le meno giovani apparivano contrariate e abbozzavano i primi versi di un canto popolare: Oh quantu è bellu l’occhiu di lu suli/ chi di nissunu si dassa guardari/ e cu lu guarda prestu l’occhi chiudi... E le giovani zittivano per rispetto ma con  malcelata irritazione. Erano le lavoratrici giornaliere che davano impulso all’economia del dopoguerra accettando la logica dello sfruttamento in nome del bisogno e del futuro. Erano anche il simbolo della Calabria che rinasceva e muoveva i primi passi verso una consapevolezza di sé che, tuttavia, si tentava di comprimere ancora negli arcaici schemi chiusi nel rapporto padrone-lavoratore, sfruttatore-sfruttato. Il canto era il primo sintomo di una ribellione dello spirito.

Non si contestavano le nenie e le leggendarie cantiche della tradizione ma la radio portava la modernità, le canzoni dei primi festival di Sanremo, un mondo nuovo che le ragazze cominciavano a sentire come proprio. Fu così che il cambiamento del gusto giovanile impose un diverso approccio all’organizzazione delle sagre.

Dalla piccola banda locale che intonava brani d’opera si passò ai complessini e ai cantanti di musica leggera, dalla festa in cui l’aspetto prevalente rimaneva  quello religioso si passò alla festa più laica, in cui lo spettacolo occupava la maggior parte del tempo. Ed ebbe così inizio una trasformazione del costume che se da un lato sostenne ed aiutò l’aggiornamento socioculturale dei giovani, dall’altro allentò l’attenzione alla tradizione. Col passare degli anni l’omologazione del gusto si completò e l’etno-folk sarebbe stato riscoperto molto anni dopo esclusivamente come memoria e non più come vita.

Questa edizione del Tamburello festival punta l’occhio sugli aspetti più significativi dei mutamenti e tenta di scoprire e attualizzare quali siano state le condizioni in cui maturò il cambiamento e quanto della tradizione sia ancora possibile cogliere nell’atteggiamento, nel gusto, nella formazione umana dei giovani calabresi.

A nessuno sfugge il valore della riscoperta della musica tradizionale e del canto popolare. La sorpresa è la constatazione dell’entusiasmo con cui i ragazzi la vivono e la sentono come propria, non diversamente  e forse più intensamente dei ritmi del loro tempo. Non è, tuttavia, un ritorno al passato. Non ci sono glorie da celebrare o fasti da commemorare. E’ semplicemente un vero e proprio sentire spirituale, il recupero di un’identità storico-artistica perduta e ritrovata, di cui ci si riappropria con sentimento e consapevolezza.

E’ un passo mosso verso il valore della responsabilità per la propria regione, la sua storia, i suoi valori e verso la ricerca di un ruolo per sostenerne e rilanciarne le migliori attitudini e qualità.

Salvatore L’Andolina

Presidente onorario del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni

 

TAMMURRIA

"Il canto è un bisogno, non un sollazzo del popolo che vi trafonde tutto il suo cuore più segreto e più intimo".

Occorre partire da questa espressione, tratta da antichi testi del Salento, per comprendere, fino in fondo, l’humus della band Tammurria. Le loro prestazioni sono costruite su brani della tradizione popolare e su composizioni inedite. La caratteristica "Pizzica-Pizzica", serenate, canti d’amore, lavoro, lotta, protesta, narrativi, calendariali esprimono i legami della meravigliosa terra salentina, intrisa di scambi e contaminazioni con le culture dei popoli del Mediterraneo.

La pizzica è l’architrave che sorregge il concerto. La base è data dal tamburello leccese che viene suonato con una tecnica particolare, dando il ritmo di fondo con la percussione e un caos ordinato, con i sonagli. I corpi vibrano nella musica, nello spazio, tra la folla nella calda atmosfera estiva. Si forma così la "ronda" (cerchio) e si balla in mezzo con una tecnica molto elementare che lascia spazio alla fantasia e all’emotività dei danzatori e che avvicina ad una dimensione più primitiva, arcaica attraverso il suono ossessivo ripetuto all’infinito. Lo spettacolo è poi arricchito da elementi teatrali di rilevante impatto emotivo. Le "tarantate" che riproducono con efficace carica sensuale la danza terapeutica salentina, la capacità calamitante delle vocalist e il sound incalzante rimangono, per l’intera durata del concerto, costanti coordinate. Il risultato è una miscela culturale, coreutica e musicale di dirompente vis emozionale: suoni, immagini e sensazioni meta temporali che appartengono a un Sud vitale e appassionato, spontaneo e coinvolgente, intrigante e misterioso.

 

NAGRU’

Il progetto Nagrù (Nessuna alterazione genetica riscontrata unicamentepopolare) nasce dall’intento di tre musicisti: Biagio Accardi, Nando Brusco e Oreste Forestieri. La loro voglia di approfondimento e divulgazione degli elementi di una cultura antica, alla quale sentono di appartenere ha costituito il nucleo di un’affinità umana che poi si è tradotta in musica.

Nagrù sviluppa il suo lavoro affiancando alla ricerca sul campo - nella quale si incontrano canti e suonate tradizionali - le singole capacità artistiche maturate precedentemente dai tre musicisti. Lo spettacolo si basa sulla riscoperta della tradizione etnico musicale e coreutica calabrese nella sua semplicità ed essenzialità, distante anni luce da effetti speciali e altre forme di artificiosità. Lontana, altresì, dal frastuono di una società frenetica, rumorosa e superficiale, sempre felicemente sorpresa dalla travolgente e autentica passione sprigionata dagli echi e dalle reminiscenze del "Sonu a ballu".

Lira, zampogne, organetto, tamburello, pipita, flauti a corteccia sono gli strumenti più tipici della Calabria, le cui note riportano alla luce ritmi e sonorità ancestrali. Essi, nelle sapienti mani dei Nagrù troneggiano dall’alto della loro plurisecolare storia e portano alla luce frammenti di musica popolare capace di fare vibrare in profondità le corde del cuore.

Le movenze tarantate di Francesca Laino accompagnano il trio lungo un percorso suggestivo e affascinante. "A nàsci e a morì è na cantata" è il titolo del loro spettacolo che scandaglia il ruolo della musica nel percorso di vita degli uomini e delle donne. Dalla ninna nanna alla nenia funebre, passando per i momenti di alta poeticità dell’innamoramento a quella di grande fatica dei lavori agro-pastorali.

Il gruppo propone un viaggio-spettacolo che ripercorre, simbolicamente, la vita dell’uomo nella società tradizionale.

 

I SUONATORI DELL’ISTMO D’ITALIA

Il duo pipita-zampogna è un’espressione classica della tradizione musicale calabrese. In taluni casi, la formazione ha origine in occasione delle festività natalizie per l’esecuzione della pastorale; in altri, il repertorio segue i filoni classici della tarantella.

Il duo de I suonatori dell’Istmo d’Italia è composto da musicisti giovani.

Il primo é Andrea Bressi ventidue anni, cantante, studioso e suonatore di pipite, organetti, chitarre battenti, tamburi a cornice. Le sue capacità musicali sono unanimemente apprezzate per originalità e intensità d’esecuzione.

Il secondo, Daniele Mazza, ventuno anni é costruttore e suonatore di pipite, zampogne, lire, chitarre battenti, e tamburelli. Le sue doti artigianali sono straordinarie. Egli è abilissimo costruttore di pipite che vengono ricavate dal legno tipico dell’area catanzarese: gelso, erica, ulivo, palissandro, melo. Entrambi i musicisti svolgono attività concertistica su scala regionale sin dall’età di quattordici anni.

 

LINDO NUDO

Lindo Nudo, attore e regista teatrale, nasce a Rende il 2 giugno 1963.

Nel 1991 consegue il diploma di attore presso l’Accademia d’arte drammatica di Palmi e a partire dallo stesso anno inizia la sua collaborazione, in qualità di attore, con il Centro Rat Teatro dell’Acquario di Cosenza (La lezione, Cani randagi, Edipo, Il velo e La sfida.).

Nel 1995 per la compagnia Rosso Tiziano, in qualità di autore, attore e regista, vince il premio nazionale "Eti Vetrine" con lo spettacolo "Sida" e "L’uomo dal fiore".

Nel 1998 fonda e dirige la compagnia teatrale Rossosimona con la quale firma le regie di “The strange case of Dr Jeckill and Mr Hyde, Piedi Gonfi, Principicchiu, Sida 95”. Nel 2001 Lo spettacolo "E’ il momento dell’amore" diretto da Lindo Nudo vince il premio nazionale "Scenario".

Nel corso degli anni ha collaborato in qualità di attore con la Philarmonia Mediterranea, Conservatorio Giacomantonio di Cosenza, Microcosmos, Dedalus, Phaleg. Ha lavorato nei film di Giovanni Sole “Francisco” e “Il canto del patriota”.

Dal 2001 collabora in qualità di insegnante di teatro con il Teatro Stabile di Calabria.

Nel 2004 dirige Debora Caprioglio in “Elettra” prodotto dal Teatro Stabile di Calabria.

Nel 2007 firma la regia dello spettacolo “La verità vive” per Teatro Rossosimona e produce e dirige  lo spettacolo “L’amore che bruciò Troia” per il Magna Graecia Festival.

Nel 2008 firma la regia di “Mia Martini. Una donna. Una storia”. Nel 2009 è il regista degli spettacoli “Antoine e Giacomino” e “Il mistero del teatro abbandonato”.

 

TAMBURELLI SULLA SPIAGGIA

Filo conduttore del Tamburello festival, organizzato dal Centro studi Aramoni e giunto alla sesta edizione, sarà: "Tarantella rurale nel villaggio... globale".

Il primo passaggio dell’evento è dato da un’immagine accattivante, creata dall’architetto Stefano Simoncini, che cambia ad ogni edizione e comunica l’idea di una Calabria che ama il bello.

Il secondo, dal concerto itinerante per il lungomare zambronese, denominato "Tamburelli sulla spiaggia" e che avrà svolgimento il 16 agosto.

Il terzo, infine, dalla giornata del 18 agosto nella quale ci saranno più eventi in contemporanea. La serata del 18, infatti, si aprirà con il ballo dei Giganti aramonesi. Due, poi, le sagre previste. La prima si affida ai "Fileia" e ai prodotti tipici locali e si segnala per la raffinatezza con cui sono servite le varie pietanze. La seconda, quella dei dolci, ha il potere di fare fallire la temuta “prova costume”. Due i concerti programmati. Il primo sarà tenuto dai "Tammurria" band salentina che ha nel repertorio un elemento teatrale di forte impatto emotivo. Le artiste del gruppo insceneranno "Le tarantate"; momenti di estrema intensità che rimandano a un Sud che non c’è più, appunto, quello rurale.

Durante il concerto verranno anche proiettati alcuni video di Ernesto De Martino che ha immortalato, negli anni Cinquanta, le ultime scene di "tarantismo". Il concerto conclusivo sarà affidato ai "Nagrù", trio calabrese d’ispirazione musicale e coreutica tradizionalista. Durante il secondo concerto, Lindo Nudo, noto attore teatrale calabrese, leggerà tre brani tratti da opere di Saverio Strati.

Chiuderà la serata lo spettacolo pirotecnico, d’ispirazione storica e rievocativa, della "Cameiuzza". Faranno da cornice all’evento una nutrita esposizione d’arte, artigianato regionale, prodotti enogastronomici locali e di strumenti musicali popolari calabresi, denominata "Galleria d’arti e... mille sapori!".

cor. lan. Pubblicato su Calabria Ora l’1 agosto 2009, p. 28

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